Il Comunicato Stampa della Consulta regionale per la salute mentale del Lazio sulla pericolosa deriva all’ex OP Santa Maria della Pietà di Roma
12 maggio 2022
La Consulta regionale per la salute mentale, organismo permanente di partecipazione, tutela e promozione in materia di salute mentale ha deciso all’unanimità di rendere pubblico il proprio dissenso, sconcerto e dolore per quanto si è portato a compimento ieri nel Comprensorio dell’ex Ospedale Psichiatrico S. Maria della Pietà di Roma: inaugurazione di una struttura residenziale di 7 posti letto per i disturbi del comportamento alimentare (DCA) nel Padiglione 14, quello che anticamente ospitava Agitati Uomini.
Colpisce e ferisce, oltre la evidente violazione di legge, la scelta della data di inaugurazione proprio a ridosso della ricorrenza del 13 maggio 1978, giorno in cui l’approvazione della legge 180 ha reso orgogliosamente l’Italia l’unica nazione al mondo senza manicomi. Almeno fino a ieri. La data scelta appare quindi come un atto di arroganza istituzionale e disprezzo dei percorsi di riforma psichiatrica e induce a chiedersi in quale paese e in quale epoca si stia vivendo e quale valore abbiano ancora le leggi democratiche e il loro rispetto ed attuazione. Leggi che valgono per tutti, nessuno escluso quindi anche per Zingaretti, D’Amato, Tanese e Gualtieri. La Consulta regionale ha il dovere di segnalare che il riuso del Comprensorio di S. Maria della Pietà, al pari di tutti gli ex Ospedali Psichiatrici italiani, è normato da leggi nazionali ancora vigenti che vanno solo applicate e rispettate, senza deroghe, espedienti o appigli. Non è consentito il reimpiego delle aree e degli edifici degli ex Ospedali Psichiatrici per attività connesse ai Servizi per la salute mentale e quindi non può essere accettato riaprire alla residenzialità psichiatrica i padiglioni dismessi.
Con riferimento all’Art.3, comma 5, della Legge 23 dicembre 1994, n.724, modificato dall’Art. 1, comma 21 della Legge 23 dicembre 1996, n.662, ripreso dall’Art. 32, comma 6 della Legge 27 dicembre 1997, n.449 e dall’Art. 98, comma 3 della Legge 23 dicembre 2000, n.388, viene stabilito che “i beni mobili e immobili degli Ospedali Psichiatrici (OP) dismessi possono essere utilizzati per attività di carattere sanitario, purché diverse dalla prestazione di Servizi per la salute mentale o dalla degenza o ospitalità di pazienti dimessi o di nuovi casi, ovvero possono essere destinati dall’Azienda Unità Sanitaria Locale (AUSL) competente alla produzione di reddito, attraverso la vendita, anche parziale, degli stessi con diritto di prelazione per gli enti pubblici o la locazione. I redditi prodotti sono utilizzati per l’attuazione di quanto previsto dal Progetto Obiettivo Nazionale “Promozione e tutela della salute mentale”, per interventi nel settore psichiatrico, e dai relativi Progetti regionali di attuazione”. Gli stessi contenuti sono stati ribaditi anche dal Consiglio di Stato, sentenza n.1422 del 2003 che ha confermato per gli ex Ospedali Psichiatrici un utilizzo reddituale escludendo l’uso psichiatrico.
Parimenti con forza e determinazione la Consulta ribadisce l’urgenza che su tutto il territorio regionale si attivino i Servizi per i DCA, secondo equità e pari opportunità di risposte di salute e di accesso alle cure. Fin dal marzo 2014 con più note inviate a Zingaretti e D’Amato, senza aver ricevuto riscontro alcuno, veniva segnalato come il Lazio fosse totalmente inadempiente per quanto attiene alle disposizioni del Ministero della Salute, con la conseguenza di una forte disomogeneità nella pratica clinica, organizzativa e gestionale dei DCA. La mancanza di Servizi residenziali dedicati ha determinato nel tempo il ricorso a ricoveri fuori Regione, a discontinuità nelle cure e a forme di “turismo sanitario” penalizzanti per pazienti e famiglie, con un aumento considerevole dei costi complessivi sostenuti dall’Amministrazione regionale.
La Consulta regionale quindi non esprime un veto all’apertura di una struttura residenziale per DCA quanto mai necessaria, ma ribadisce che il luogo scelto, il Padiglione 14 del Comprensorio di S. Maria della Pietà, è improprio, illegale e vietato e chiede a Zingaretti, D’Amato e Tanese che si provveda tempestivamente al trasferimento in una sede appropriata, anche valutando quelle suggerite ma rimaste inascoltate, coniugando così rispetto delle norme ed esigenze cliniche. A Gualtieri la Consulta ricorda che è suo compito tutelare i diritti di cittadinanza di tutti, specialmente dei più deboli a cui viene di fatto negato sempre più spesso l’accesso al mondo del lavoro. Il Padiglione 41 che ospitava da anni l’esperienza di Impresa sociale (tipografia e falegnameria) con l’inserimento lavorativo di pazienti in carico al Dipartimento di salute mentale della ASL Roma 1, è stato chiuso repentinamente nel maggio 2021 e da allora si attende che Tanese indichi un’altra sistemazione per il riavvio delle attività lavorative.
L’iniziativa assunta ieri ha già generato contrasti nell’Associazionismo attivo in salute mentale, tra chi tutela l’utenza adulta e chi quella degli adolescenti: non si sentiva proprio il bisogno di porre su una linea di conflittualità i diritti sacrosanti di ognuno, dei più vulnerabili, di chi fatica ogni giorno a trovare la forza per recuperare salute e qualità di vita.
Il taglio del nastro di ieri e i sorrisi in favore delle telecamere non sono riusciti però ad oscurare la drammatica realtà assistenziale psichiatrica e le gravi carenze organizzative e funzionali dei Servizi territoriali ed ospedalieri: nella ricorrenza della legge di riforma, come risposta di cura ai bisogni vecchi e nuovi, nel Lazio si riaprono i padiglioni del manicomio di Roma Capitale e si continua a morire in SPDC legati ad un letto. L’ultima morte che attende risposta è di 5 giorni fa…
Il Presidente della Consulta
Daniela Pezzi
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Festeggiare l’anniversario del 13 maggio con la riapertura del più grande manicomio d’Europa è senz’altro una tappa importante e significativa di un processo di involuzione iniziato oltre 20 anni fa e che oggi raggiunge la sua massima espressione. Un processo di involuzione che si è svolto dentro (ed ha degnamente accompagnato) un profondo degrado culturale e politico della nazione intera, e in primo luogo della classe politica, per cui lo stesso esercizio della democrazia è diventato assai difficile e spesso equivoco.
Queste, purtroppo, sono le risposte alle istanze infinite volte poste dal movimento dei cittadini utenti dei servizi e dei loro famigliari. E la cruda realtà di questa tappa, oltre che indignarci, deve farci riflettere non tanto sui contenuti quanto sui metodi di azione ai quali ci siamo finora attenuti e che spesso non sono stati efficaci contro le male pratiche, l’indifferenza, la rassegnazione.
Non c’è dubbio che l’evidenza della realtà pone a tutti noi davanti alla prevaricante importanza della dimensione politica ai fini della salvaguardia dei diritti, della dignità e della libertà delle persone, in primo luogo di quelle più fragili, e la necessità di un più forte impegno per la nascita di un movimento, che ad oggi non c’é, capace di arrestare questo nefasto declino e di contribuire alla realizzazione di una società migliore, in grado di di interpretare i bisogni di tutti e di ridurre disuguaglianze ed ingiustizie.
E’ su questo piano, difficile e scabroso, che necessita ora, senza deroghe e senza deleghe, il massimo impegno di chi ha a cuore l’osservanza delle leggi e il benessere dei cittadini.