Per i Dipartimenti di Salute Mentale ha significato rivoluzionare la pratica quotidiana, nelle attività di profilo più clinico, ma soprattutto in quelle di riabilitazione ed attivazione psicosociale, per definizione inibite dalle limitazioni di contatto sociale e di movimento
Ad un anno dall’inizio nel nostro Paese possiamo affermare con certezza che la pandemia COVID ha costituito e continua a costituire, tra le altre cose, lo stress test più impegnativo per il nostro Sistema Sanitario Nazionale dalla sua fondazione nel 1978.
Ma in che modo i Dipartimenti di Salute Mentale italiani sono stati interessati dagli effetti diretti ed indiretti della pandemia? In che misura hanno saputo garantire la necessaria continuità terapeutica ed affrontare nuovi bisogni emergenti? In che modo hanno contribuito alla azione complessiva della sanità pubblica in risposta alla sfida del COVID?
Piano piano si cominciano ad accumulare dati ed esperienze che consentono di tracciare un primo bilancio e di lanciare lo sguardo oltre l’oggi per cercare di essere pronti per affrontare il prosieguo della pandemia ed il suo impatto sulla salute mentale degli italiani. Ed in questo quadro non mancano dati confortanti sulla tenuta del sistema ed anche alcune sorprese.
Il periodo del lockdown è stato sicuramente uno shock per tutta la società e per tutto il Sistema Sanitario Nazionale. Per i Dipartimenti di Salute Mentale ha significato rivoluzionare la pratica quotidiana, nelle attività di profilo più clinico, ma soprattutto in quelle di riabilitazione ed attivazione psicosociale, per definizione inibite dalle limitazioni di contatto sociale e di movimento. È evidente la contraddizione insita nel dover praticare una clinica orientata alla ripresa ed allo sviluppo delle competenze sociali in un contesto di formale ed esplicita limitazione della socialità.
Eppure, in quei mesi i DSM sembrano avere tenuto abbastanza bene, riuscendo a garantire una continuità terapeutica ed assistenziale, adattandosi alle condizioni date mediante un maggior ricorso alla domiciliarità ed alla teleSalute. I DSM sono stati riconosciuti dagli Enti nazionali come l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) come servizi di riferimento essenziali e fondamentali per rispondere al disagio psicologico della popolazione generale ed hanno operato in quel periodo in modo attivo su più piani e livelli, continuando ad offrire i livelli essenziali di assistenza per i propri utenti, per i nuovi utenti e per i nuovi bisogni di salute della popolazione generale.
Non a caso l’ISS ha elaborato un Rapporto specifico per il contrasto alle problematiche stress-correlate identificando i DSM come centri attivi per erogare tali interventi. Dai dati dei sistemi informativi di diverse regioni sappiamo che nei mesi tra marzo e maggio 2020 il numero dei pazienti in contatto ha subito solo un lieve calo, intorno al 10%, mentre il calo delle prestazioni complessive è stato più consistente, intorno al 30%, soprattutto relativo alle attività psicosociali.
Ciò in un contesto in cui praticamente tutte le attività sanitarie territoriali non di emergenza si erano interrotte. Sorprendentemente si è verificato un calo drammatico dei ricoveri psichiatrici e soprattutto dei Trattamenti sanitari Obbligatori, che rispetto all’omologo trimestre del 2019 sono risultati inferiori di percentuali variabili tra il 50 ed il 70% rispettivamente. Si tratta di un fenomeno ancora poco compreso, ma che non va ricondotto a riduzioni di disponibilità di posti letto. Infatti, solo pochissime unità di SPDC o di Case di Cura hanno dovuto chiudere transitoriamente per focolai interni o riconversioni in reparti COVID, mentre risultava di tutta evidenza l’insolita realtà di reparti psichiatrici mezzi vuoti.
Occorre anche sottolineare come le strutture residenziali psichiatriche abbiano avuto sin qui una storia ben diversa da quella delle CRA e delle strutture residenziali per disabili, pesantemente investite dalla epidemia. È possibile che la loro piccola dimensione e la copertura sanitaria di cui comunque beneficiano appartenendo alla rete dei servizi DSM abbiano impedito il dilagare del virus al loro interno e di limitare a pochi casi singoli, prontamente identificati, la diffusione del contagio. È da notare come invece ci siano segnalazioni di situazioni drammatiche analoghe a quelle delle CRA nelle strutture psichiatriche di paesi con una struttura dei servizi centrata sull’ospedale psichiatrico, come ad esempio la Germania.
Dall’inizio dell’estate si può dire che nei DSM italiani è iniziata la ripresa verso livelli di attività pre-COVID sia per la parte clinica che per la parte psicosociale. Con grande impegno e molta fatica, potendo contare sulla collaborazione delle associazioni di utenti e familiari e su una vasta rete di collaborazioni con il terzo Settore, la gran parte dei DSM italiani sta riuscendo a tenere viva una rete di attività di inclusione sociale, di attività lavorative e riabilitative, di sostegno all’abitare ed alla socialità. I livelli attuali di persone in carico e di prestazioni si aggirano mediamente sui numeri della fine del 2019, in alcuni casi con lievi cali del 10% circa, in alcuni casi con piccoli incrementi.
Tutto ciò in contesti nei quali buona parte delle attività sanitarie territoriali e di quelle ospedaliere procede con grande incertezza e con gravi ostacoli, seguendo giorno per giorno le vicissitudini della epidemia e delle riconversioni necessarie. Possiamo anche dire che sia nella fase di lockdown che nei mesi successivi fino ad oggi, i DSM hanno anche dato un contributo alla azione di salute pubblica. Ad esempio, più o meno dappertutto, i servizi di psicologia dei DSM si sono organizzati per fornire supporto ai pazienti COVID, ai loro familiari, agli operatori impegnati sul fronte caldo dei ricoveri ospedalieri, alla cittadinanza in generale.
È percezione comune che passato il momento di immediato spaesamento, già verso l’inizio della estate 2020 la richiesta di supporto psicologico sia andata rapidamente calando, rientrando progressivamente sui livelli ordinari. Ciò non significa che il COVID non abbia avuto o non abbia un impatto sulla salute mentale degli Italiani. Ci sono molte evidenze che ci dicono che nella prima fase i cittadini ed i professionisti che hanno avuto sintomi di ansia, di depressione, turbe del sonno od altri sintomi della serie stress-correlata sono stati parecchi. Ma tradotto in domande di cura e di servizi, parrebbe che superato il primo momento, la resilienza sia stata più forte del trauma e che i meccanismi sociali di rielaborazione delle situazioni spiazzanti abbiano svolto una funzione protettiva. E possiamo anche dire che per quanto di loro competenza, i DSM abbiano dato responsabilmente il loro contributo alla tenuta sociale del nostro Paese.
Oggi siamo entrati in una terza fase che presenta altre sfide e che ci riserverà probabilmente altre sorprese. È ormai chiaro che la pandemia da stress test acuto per le persone ed i sistemi si è trasformato in uno stress di medio-lunga durata e come sappiamo gli individui ed i sistemi sono più vulnerabili a questo tipo di minaccia. Se nella prima fase predominavano il sentimento della paura e le conseguenze psicologiche dell’isolamento, oggi siamo nel mezzo della condizione di maggiore incertezza che le nostre società ed i nostri sistemi sanitari abbiano mai sperimentato.
Inoltre, cominciano ad essere molto visibili i segni della crisi economica e sociale che la pandemia comporta e ben sappiamo come i determinanti sociali di salute legati al ciclo economico, al lavoro, alla struttura micro e macro-sociale siano ben più impattanti sulla salute mentale della popolazione dei singoli eventi traumatici o catastrofici, per quanto devastanti.
Dobbiamo quindi essere pronti ad affrontare la coorte di problemi psicologici o psichiatrici che accompagnano le grandi crisi: aumenti di separazioni e divorzi, violenza domestica, abuso di alcol e sostanze, ansia, depressione, suicidi. Alcune avvisaglie di tutto questo si notano dall’apparire di fenomeni di profilo sociologico, come le risse organizzate tra i giovanissimi o qualche cluster di autolesionismo con una forte componente imitativa. Però è importante affermare che non siamo certi che tutto questo si manifesterà per davvero, troppe volte la realtà ha messo in luce risorse e meccanismi sociali di compenso impensabili. Ciò ci impone grande cautela e sobrietà nella comunicazione pubblica su temi delicati come i suicidi e le dipendenze.
Ed è altresì evidente come risulti di importanza fondamentale non depotenziare i DSM ed anzi rilanciare e consolidare la loro azione, come articolazione fondamentale della assistenza territoriale che tutti dicono di voler rafforzare e trasformare. Forse la sostanziale tenuta dei DSM in questo terribile anno può dare qualche suggerimento su come fare.
Di alcune cose però possiamo già essere certi perché i dati della letteratura scientifica cominciano ad essere univoci. Ad esempio, sappiamo che le persone con disturbi mentali gravi e persistenti, a parità di rischio infettivo, hanno una probabilità 3 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare forme gravi di malattia da COVID o di morirne. Per questa popolazione il vaccino è quindi tre volte più importante rispetto alla popolazione generale.
Eppure, ad oggi solo 4 nazioni (Danimarca, Regno Unito, Olanda e Germania) hanno riconosciuto priorità nei protocolli di vaccinazione alle persone con disturbi mentali gravi e persistenti, e solo tre regioni (Veneto, Molise e Liguria) hanno inserito le strutture psichiatriche nell’elenco di quelle presso cui vaccinare, al pari delle CRA e delle strutture per disabili. I Dipartimenti di Salute Mentale si adopereranno per realizzare sul campo per i propri pazienti una piena parità di accesso alla risorsa vaccinale, il che implica un riconoscimento di priorità ed un atteggiamento proattivo, esercitato congiuntamente tra tutte le articolazioni del SSN presenti sui territori.
La battaglia è ancora lunga e va combattuta tenendo insieme salute mentale e salute fisica, per tutti i cittadini, soprattutto per i più fragili.
Angelo Fioritti
Presidente, Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale
Fonte: Quotidiano sanità