Il libro di James Robertson, comparso nel pieno di una riflessione sull’”umanizzazione” delle cure fondata sulle conoscenze sullo sviluppo psico-affettivo del bambino, rappresenta un fondamentale contributo critico e propositivo al problema dell’assistenza al bambino malato e, in particolare, al bambino ricoverato in ospedale. Un problema la cui soluzione attinge ampiamente alla teoria psicoanalitica della genesi, dell’evoluzione e delle caratteristiche della vita relazionale del bambino. Particolarmente rilevanti sono stati i contributi di Anna Freud, Melanie Klein, René Arpad Spitz, John Bowlby, Donald Woods Winnicott, Renata Gaddini, Margaret Mahler, i quali misero in evidenza i gravi danni provocati dalla separazione dalla famiglia, e, in particolare dalla madre, sullo sviluppo psico-affettivo del bambino.
Come è ben noto, in quegli anni il bambino ricoverato veniva “preso in consegna” dall’ospedale e la famiglia, compresa la madre, veniva completamente estromessa per tutta la durata delle cure in ospedale: era consentita soltanto la visita, di solito un’ora al giorno, ma più spesso a giorni alterni, di una sola persona.
A partire dagli anni ‘50-’60, anche in Italia si iniziò a mettere in atto, nelle strutture più avanzate, le prime pratiche “rivoluzionarie” volte a sottrarre il piccolo paziente al potere alienante dell’istituzione e a salvaguardare il suo normale sviluppo psico-affettivo evitando, o quanto meno cercando di ridurre le gravi conseguenze della separazione dalla madre del bambino piccolo, in particolare fra il secondo semestre e il terzo anno di vita (ma spesso anche oltre). Pratiche il più delle volte improvvisate, difficili da mettere in atto perché spesso non consentite dai regolamenti e realizzate in carenza di spazi strutturali e di requisiti indispensabili, come per esempio la mancanza di un letto per la mamma accanto a quello del bambino, che rappresentarono tuttavia un primo, non trascurabile progresso e aprirono la strada ad una serie di strutture innovative quali la scuola nell’ospedale, l’istituzione degli ospedali diurni e la scelta di un prevalente trattamento ambulatoriale, quando possibile, anche di malattie di lunga durata. La necessità di tali innovazioni divenne sempre più pressante dopo l’avvento delle nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche che cambiarono radicalmente la prognosi di alcune malattie, come per esempio la leucemia del bambino, e che richiedevano però lunghe cure anche nelle fasi di miglioramento e di remissioni dei sintomi.
Nel corso degli anni queste misure sono state applicate sempre più diffusamente e si può affermare che la situazione da questo punto di vista è andata migliorando nel tempo anche se permangono tuttora forti diversità territoriali e gravi carenze in molte sedi, soprattutto minori o periferiche.
Il libro del Robertson si distingue per il suo intento di “delineare unprincipio di igiene mentale” e di mettere in luce alcune delle implicazioni che tale principio ha nei riguardi del tipo di “assistenza non medica e non infermieristica necessaria per proteggere lo sviluppo sociale ed emotivo dei piccoli pazienti ricoverati in ospedale”. L’autore, cioè, oltre a compiere un’accurata analisi delle varie situazioni e dei fattori che rappresentano un pericolo traumatico o deprivazionale per il bambino, insiste sulla necessità di una cultura diffusa (il ”principio di igiene mentale”) e di un progetto coerente affinche le singole misure, prese al di fuori di un progetto complessivo, non risultino alla fine addirittura confusive per il bambino in quanto incompatibili fra di loro nelle condizioni date.
“Negli ultimi anni si è sviluppata una marcata tendenza all'”umanizzazione” dell’assistenza ai bambini ospedalizzati. I momenti ricreativi sono stati potenziati, i tempi di visita generalmente allungati; sono state costruite delle sale da gioco e assunti degli insegnanti, e si è tentato di dare una veste più piacevole all’ambiente. Tutte queste innovazioni sono positive, ma è chiaro che raramente fanno parte di un progetto coerente volto alla soddisfazione dei bisogni emozionali del bambino. E poiché la maggior parte delle volte si tratta di misure prese ad hoc e non di un’applicazione generale di un principio basilare, non è raro scoprire che i vari accorgimenti che si adottano per migliorare la situazione del bambino sono reciprocamente incompatibili o addirittura esercitano effetti contraddittori tra loro”. Queste osservazioni, ancora del tutto pertinenti, vanno però oggi riconsiderate nell’ambito di una problematica assai più vasta che riguarda il preoccupante e rapido cambiamento degli assetti della società nel corso degli ultimi decenni e i suoi effetti sul ruolo della famiglia, sul modo di essere dei suoi singoli componenti, sulle modalità della loro interazione e, in particolare, sul rapporto madre-bambino. Genitori stressati, assenti perché impegnati in pesanti attività lavorative e sottratti anche ai loro normali compiti di allevamento e di educazione dei figli da ritmi di vita troppo concitati rappresentano, purtroppo, una condizione “normale” nella società del terzo millennio.
La “umanizzazione” dell’ospedale non potrà perciò avvenire se non nell’ambito di un radicale cambiamento dell’ assetto globale della società che restituisca alla famiglia le sue competenze e le sue prerogative e ai genitori la possibilità di una presenza che non si riconosca, paradossalmente, soltanto nei momenti più critici di una eventuale malattia, ma costituisca una solida e permanente garanzia di sostegno e di sicurezza per il bambino durante tutto il periodo del suo sviluppo.
Da questo punto di vista il libro di James Robertson appresenta ancora non solo un punto di riferimento, ma anche una preziosa analisi delle dinamiche di una società che nel suo convulso evolvere finisce spesso con il dimenticare primari bisogni dell’uomo.
James Robertson
BAMBINI IN OSPESPEDALE
Con Il bambino è dell’ospedale? del Seminario degli studenti di Biometria e Statistica Medica dell’Universita di Milano, Feltrinelli, 1973
Titolo originale:
Young Children in Hospital (Tavistock Publications Ltd., London)
Copyright © 1958, 1970 by Tavistock Institute of Human Relations, Translation from English by Leo Nahon
Fonte: Memory of the World