Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay
a cura di Elena Bravi e Guido Rocca
Gentile Direttore,
vorremmo proporre una riflessione della nostra Società Scientifica sulla composizione del Tavolo di Lavoro per la Salute Mentale presso il Ministero della Salute. Non vogliamo entrare nel merito delle sicure competenze dei componenti, ma siamo rimasti meravigliati dalle assenze. È confortante constatare di non essere soli nel cogliere la gravità di tale carenza, registrata anche da alcuni autorevoli psichiatri. Non si tratta quindi, di una contesa tra categorie, ma di prendere atto che il modello culturale psichiatrico, a forte impronta biologista, è in Italia prevalente dove si decide l’organizzazione dei Servizi di Salute Mentale. In questo Tavolo è assente sia una rappresentanza istituzionale della Psicologia, ma anche di tutti gli operatori che compongono i Servizi, dei malati e dei familiari.
Singolarmente, soltanto qualche mese fa, un articolo su QS, a firma anche di un membro del Tavolo citato, commentava in modo caustico le parole del Presidente del CNOP sui Servizi di Psicologia nel SSN “E’ lecito nutrire il sospetto che più che reali esigenze di salute della popolazione, le proposte dell’Ordine degli Psicologi rispondano a semplici logiche corporative e di potere”. L’organizzazione della psicologia veniva cioè rappresentata come la distruzione della fondamentale integrazione degli interventi assistenziali. Colpisce che la diagnosi di “follia” per la separazione della psicologia, venga meno improvvisamente nella logica di composizione dei Tavoli per la Salute Mentale.
E’ anche interessante notare che uno degli autori dell’articolo citato, in una recente intervista, anticipi obiettivi del Tavolo che riguardano anche il contributo degli psicologi che non operano nei CSM (interventi di prevenzione già durante la gravidanza, cura del rapporto madre-bambino, ambito, dagli anni ’70, degli psicologi dei Consultori; benessere lavorativo e stress lavoro correlato, ambito della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, curato dalle aziende sanitarie che hanno Servizi di Psicologia).
Potrebbe essere che questa visione anticipi un proposito di accorpamento di tutta la psicologia all’interno della Salute Mentale? Con la direzione di chi, secondo voi? Su questi presupposti si riesce a cogliere il reale significato dell’attribuzione agli psicologi dell’intenzione di voler coltivare i propri interessi e non quelli degli utenti. Nell’intervista vengono illustrati anche i buoni propositi del Tavolo sull’area del trattamento dei disturbi emotivi comuni. I dati di Rebecchi evidenziano come, nei fatti, il trattamento prevalente nei CSM sia quello farmacologico. In UK risale al primo decennio del 2000 l’implementazione di Servizi di Psicologia che erogano trattamenti psicologici per i disturbi emotivi comuni. Questi servizi non sono certo nati per la lobby degli psicologi, ma per le evidenze scientifiche. Il modello inglese gode infatti di una radicata cultura dell’accountability e dell’erogazione di EBT.
La scelta politica di investire sullo sviluppo dei servizi di psicologia, su scala nazionale, nasceva dalle ricerche (vedi sito NICE) che dimostravano, in termini di effectiveness, di rapporto costo-efficacia e di stabilità dei risultati nel follow-up, esiti migliori rispetto al trattamento farmacologico. A partire da tali evidenze, la somministrazione dei farmaci non è stato più considerato l’approccio terapeutico di prima linea nel trattamento dei disturbi comuni di salute mentale, sostituito dai trattamenti psicologici. L’IIS ha di recente diffuso il documento della Consensus Conference Nazionale sulle terapie psicologiche per ansia e depressione , che recepisce questo approccio.
I problemi di salute mentale trovano raramente una risposta psicologica strutturata e tempestiva nei CSM, perché gli psicologi sono pochi e focalizzati su altre priorità di servizio. Quando i CSM non rispondono alle richieste di psicoterapia (compresa nei LEA, quindi un diritto per i cittadini) sappiamo che, chi può permetterselo, si rivolge ad un libero professionista, ma chi non ha i mezzi che fine fa? E’ difficile pensare che una mancata risposta assistenziale possa avere un buon esito sulle persone, sulla loro qualità di vita e sui costi sociali ed economici diretti e indiretti che il disagio psichico sempre comporta. Questo fenomeno non riguarda invece le realtà aziendali italiane (poche, e a macchia di leopardo) che hanno organizzato i Servizi di Psicologia. In sostanza, si scrive Salute Mentale, ma è ancora molto comune dover leggere Psichiatria. Perciò pensiamo che il SSN dovrebbe attivare subito, a livello nazionale, i Servizi di Psicologia, come avviene da anni in UK. Servizi con una documentazione sistematica delle richieste, del numero delle prese in carico, dei tempi di attesa per l’erogazione di una psicoterapia ed una puntuale rilevazione e documentazione degli esiti di trattamenti basati sulle evidenze1.
Proprio l’attenzione alle variabili dell’organizzazione, dell’integrazione multiprofessionale, dell’efficienza e della rilevazione degli esiti dei trattamenti psicologici, di fronte all’enorme mole di richiesta di presa in carico (e di richieste inevase), amplificate durante e dopo la pandemia, hanno costituito gli obiettivi del Tavolo per la Psicologia presso il Ministero della Salute, illustrati nelle “Linee di indirizzo per la Funzione Psicologia nel SSN”. Se le premesse culturali sono quelle delle scelte di rappresentanza del Tavolo per la Salute Mentale, è difficile essere ottimisti. Si coglie infatti un concetto di integrazione “à la carte”: quando gli psicologi rivendicano la specificità organizzativa della loro disciplina, declinata attraverso strumenti che garantiscano la multidisciplinarietà, si grida allo scandalo; quando invece si nomina un Tavolo per la Salute Mentale senza rappresentanza formale degli psicologi, l’integrazione non è più una priorità per la tutela degli utenti. Questo induce a sospettare che questo tipo di integrazione sia focalizzato sulle gerarchie (chi decide per chi) piuttosto che sui processi di cura.
Quindi, se le Regioni chiederanno ai soli Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale (leggi psichiatri, nel 98% dei casi), e non agli psicologi, un parere sui Servizi di Psicologia, l’esito è pressoché scontato. Forse anche questa scelta politica permette di definire una stima del ritardo culturale in tale ambito, quantomeno rispetto all’UK, in almeno 15 anni.
Elena Bravi
Presidente SIPSOT (Società Italiana di Psicologia dei Servizi Ospedalieri e Territoriali)
Guido Rocca
Vicepresidente SIPSOT (Società Italiana di Psicologia dei Servizi Ospedalieri e Territoriali)
1 Dati UK aggiornati a Settembre 2022: 1,81 milioni di invii in psicoterapia (in aumento del 24,5% rispetto a 1,46 milioni nel 2020-21) Il 91,1% ha avuto accesso ai servizi IAPT entro 6 settimane (in aumento di 1,1 punti percentuali dal 90,0% nel 2020-21) 1,24 milioni di inviati hanno avuto accesso ai servizi IAPT (in aumento del 21,5% rispetto a 1,02 milioni nel 2020-21) 7,9 sedute di trattamento in media (rispetto alle 7,5 nel 2020-21) 664.087 degli utenti inviati ferimenti hanno completato il ciclo di trattamento (in aumento del 4,6% rispetto a 634.649 nel 2020-21)
I dati sono corredati di una illustrazione puntuale delle variabili, cliniche e statistiche, di outcomes (https://digital.nhs.uk/data-and information/publications/statistical/psychological-therapies-annual-reports-on-the-use-of-iapt-services/annual-report-2021-22/therapy-based outcomes)
Fonte: quotidianosanità