Gentile Direttore,
apprendiamo da Quotidiano Sanità della conclusione nel Veneto del corso per istruttori regionali in tema di aggressioni e atti di violenza a danno del personale delle Aziende sanitarie del Veneto. Nel Corso gli operatori sono stati formati alle “Linee di Indirizzo regionali per la prevenzione e la gestione delle aggressioni e degli atti di violenza a danno dei professionisti delle Aziende sanitarie”, diffuse dalla Regione nel febbraio 2022; sono state inoltre illustrate tecniche comunicative e comportamentali utili a riconoscere, prevenire e gestire episodi di violenza, in particolare in presenza di soggetti agitati e violenti e nei contesti di emergenza.
Inutile dire quanto queste iniziative siano lodevoli e sia importante la attenzione dedicata al fenomeno. Mi preme tuttavia sottolineare due aspetti presenti in quelle linee di indirizzo che meritano attenzione.
La prima è il richiamo, ormai consueto, alle varie tecniche di de-escalation per le quali peraltro la evidenza è problematica. Basta una rapida scorsa alla letteratura, anche recente, per verificare che funzionano decisamente di più a livello soggettivo nel migliorare la sicurezza con cui gli operatori affrontano queste situazioni e limitarne il burn-out, rispetto ad un reale calo degli episodi di violenza.
Ma gli aspetti che meritano più attenzione sono altri, a cominciare da quanto indicato a pagg 21-22 che riporto testualmente:
“Stabilizzazione. Se necessario, usare tre tecniche di stabilizzazione per ottenere il controllo della situazione: contenzione fisica, sedazione e contenzione farmacologica.
Contenzione fisica. Se la situazione lo richiede e lo permette è consigliabile utilizzare meccanismi di contenzione in tutti i pazienti violenti o agitati per garantire la sicurezza di tutto il personale presente. Questa attività è solitamente meglio eseguita da personale appositamente addestrato del reparto di psichiatria o delle forze dell’ordine che sia anche in grado di individuare eventuali oggetti pericolosi/contundenti in possesso del paziente.
Sedazione. Se lo stato di agitazione persiste, la sedazione del soggetto può essere ottenuta mediante somministrazione di benzodiazepine a breve emivita per via intramuscolare o endovenosa. Il dosaggio può essere ripetuto ogni 30 minuti fino ad ottenere l’effetto desiderato, monitorando l’attività respiratoria.
Contenzione farmacologica. Questo tipo di contenzione è ottenuta mediante farmaci neurolettici. Per i pazienti che non rispondono alla sedazione può essere utilizzato aloperidolo 2-5 mg che può essere somministrato per via intramuscolare o per os, comunque secondo quanto previsto dalle linee guida. Nei pazienti anziani è preferibile iniziare con dosi più basse ed incrementare il dosaggio di 1-2 mg alla volta. Dosaggi multipli possono essere ripetuti ogni 30 minuti fino al controllo psicofisico del soggetto. Bisogna sempre prestare attenzione in caso di insorgenza di effetti collaterali come sintomi extrapiramidali acuti, epilessia o sindrome maligna da neurolettici.”
Non può passare inosservata la semplicità con cui – in una situazione in cui più volte il Ministero ha ribadito la necessità di ridurre nel tempo fino ad estinguere il ricorso alla contenzione fisica e la Cassazione ha definito chiari limiti – questa viene “consigliata” per tutti i pazienti violenti ed agitati.
Non può passare inosservata la delega indifferente della operazione al personale della psichiatria “appositamente addestrato” oppure alle forze dell’ordine, ai quali viene dato anche il compito di perquisire il paziente. Non può passare infine inosservato l’uso dei neurolettici a scopo di puro contenimento (senza peraltro specificare che la somministrazione di Aloperidolo richiede un preventivo controllo ECG).
L’aspetto del capire cosa è effettivamente successo può avvenire in un momento successivo. Il documento infatti, solo dopo avere dato le “Indicazioni alla stabilizzazione”, “suggerisce” di “focalizzare le principali cause o circostanze che hanno condotto la persona in Pronto Soccorso” raccogliendo informazioni da varie fonti fra cui familiari, amici o personale del soccorso territoriale (118) e indagando su eventuali “precedenti trattamenti psichiatrici, storia di convulsioni o epilessia, abuso di sostanze psicotrope o xenobiotici, qualsiasi recente riferito tentativo suicidario anche mediante ingestione di farmaci o sostanze tossiche”.
Infine il documento stabilisce la piena equivalenza fra intenzionalità omicidiaria e psicopatologia. Si legge infatti: “L’intenzione omicida del paziente deve essere ritenuta tanto più pericolosa quanto più dettagliato era il piano descritto per raggiungere l’intento di uccidere qualcuno. Questa tipologia di pazienti deve essere monitorata strettamente da personale addestrato (polizia o carabinieri) ed eventualmente devono essere utilizzati i mezzi di contenzione. I pazienti con intenti omicidi devono essere sottoposti a consulenza psichiatrica in emergenza”.
Di tutto questo sono tanti gli aspetti che ci preoccupano. Ci preoccupa l’idea per cui si procede con strumenti sanitari per aspetti che non sono necessariamente sanitari; ci preoccupa che sia ufficializzata in documenti di indirizzo regionale una equivalenza fra aggressione e psicopatologia psichiatria che la letteratura scientifica non supporta, quando invece supporta il ruolo preminente nella violenza dei fattori ambientali e della situazione; ci preoccupa che le soluzioni proposte, che prescindono dalla natura specifica di quel comportamento violento, siano la contenzione e gli psicofarmaci.
Ci preoccupa infine che il ruolo attribuito alla psichiatria sia quello di esperti della contenzione, della perquisizione e delle idee omicidiarie.
Credo che se qualcuno ha dubbi su quanto la Legge 180/78 abbia poco cambiato lo stigma verso la psichiatria, i provvedimenti che la riguardano o il mero ruolo di controllo che ad essa è affidata, possa avere piena risposta.
Fonte: Quotidiano Sanità