Sviluppata nelle vigne delle Langhe, questa iniziativa si è dimostrata in grado di affrontare alcune sfide che riguardano la salute mentale attraverso interventi innovativi in grado di generare relazioni con soggetti eterogenei e orientati alla comunità. Ce la racconta Andrea Barbieri, psichiatra responsabile del Centro Diurno di Cuneo.
La promozione e la protezione del benessere e della salute mentale sono riconosciute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come priorità di salute pubblica. Per rendere la salute mentale un diritto umano effettivo, l’OMS ha elaborato e poi aggiornato il Piano d’azione globale per la salute mentale 2013-2030, il quale individua fra i propri obiettivi l’erogazione di servizi integrati nelle comunità locali e lo sviluppo di interventi rivolti non solo alle persone con esperienza di disagio mentale ma alla più ampia cittadinanza, con particolare attenzione alle fasce della popolazione più giovani e a quelle più vulnerabili.
Per comprendere come questi principi possano tradursi in iniziative concrete, concorrendo alla costruzione di un welfare di comunità, abbiamo chiesto ad Andrea Barbieri, psichiatra responsabile del Centro Diurno di Cuneo (ASL CN1), di raccontarci del progetto Vineyard, nato del 2022 e oggetto di un recente contributo scientifico al dibattito internazionale.
Sviluppata nelle vigne delle Langhe, questa iniziativa si è infatti dimostrata in grado di affrontare alcune sfide che riguardano la salute mentale attraverso interventi innovativi in grado di generare relazioni con soggetti eterogenei e orientati alla comunità. Vediamo come.
Dottor Barbieri, ci racconta come è nato il progetto Vineyard e quali sono le sue ambizioni?
Il progetto è nato da una necessità che chi lavora nei servizi di salute mentale territoriali incontra quotidianamente nella propria pratica clinica: quella di proporre interventi efficaci nel contribuire al percorso di recovery delle persone che ne sono protagoniste. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale ideare e poi realizzare delle attività significative, rilevanti per la persona e capaci di influire sull’immagine che questa ha di sé. Molto spesso, infatti, l’esperienza di un disturbo mentale incide sull’autopercezione, riducendo l’autostima e la fiducia nelle proprie possibilità. Contrastare lo stigma che attraversa le nostre società è importante, ma lo è altrettanto agire sul cosiddetto auto-stigma, che genera aspettative negative verso sé stessi e che può ostacolare il percorso terapeutico, con conseguenze particolarmente serie per i soggetti più giovani e per il loro progetto di vita.
Quali attività sono state messe in campo per contrastare l’auto-stigma?
L’attività cardine dell’intero progetto è rappresentata dalla pratica della viticoltura, intesa come pratica di cura volta a garantire lo sviluppo e il benessere della vite lungo tutto il ciclo stagionale. I partecipanti al progetto sono stati coinvolti dapprima, in una fase pilota, nella raccolta manuale dell’uva e, in seguito, nella totalità delle operazioni che scandiscono l’annualità in vigna. La raccolta dell’uva è tradizionalmente svolta a coppie: ciascun partecipante ha affiancato un viticoltore esperto, realizzando un’attività funzionale a consentire e sostenere l’interazione sociale. L’incontro con l’altro e la relazione rappresentano spesso una difficoltà e in quanto tale tendono a essere evitati, conducendo alla progressiva erosione dei contatti sociali e all’isolamento.
La cassetta rossa che tipicamente accoglie i grappoli d’uva appena raccolti ha rappresentato un oggetto simbolico, un nodo attorno al quale l’interazione – popolata di gesti, di parole ma anche di silenzi, di fatica condivisa, di un’intensità emotiva attenuata dal focus sul lavoro manuale – ha avuto modo di svilupparsi e di essere sostenuta. In questo modo l’esperienza ha generato nei partecipanti sentimenti di sorpresa e di orgoglio per “avercela fatta”, e ha sviluppato un forte senso di appartenenza al gruppo in virtù di quanto condiviso tra i filari. In alcuni casi l’esperienza si è impressa profondamente nei vissuti soggettivi, andando a comporre un “paesaggio terapeutico della mente” all’interno del quale l’identità e l’auto-rappresentazione della persona mutano e acquisiscono maggiore credibilità, forza e positività.
Il progetto ha previsto la partecipazione attiva della comunità locale?
Il progetto è stato ospitato presso una realtà viticola delle Langhe estranea al contesto dei servizi sociosanitari e ha coinvolto nelle fasi successive alla raccolta dell’uva una scuola superiore (l’IIS Govone di Alba) senza, tuttavia, venire espressamente inquadrato come intervento di promozione della salute mentale nelle scuole. Gli studenti e le studentesse del liceo artistico hanno lavorato alla realizzazione di illustrazioni, dipinti e opere plastiche a partire dall’ascolto delle esperienze dei partecipanti – loro coetanei – in vigna, catturati in forma di registrazione audio durante la conduzione di interviste individuali. In questo ascolto hanno potuto verificarsi l’immedesimazione e la sintonizzazione empatica con i vissuti dei partecipanti, avvicinando in una forma implicita due gruppi che normalmente sono separati dal pregiudizio e dallo stigma. Questo obiettivo è stato perseguito e ulteriormente ampliato nelle fasi successive a quella pilota.
Quali evoluzioni ha seguito il progetto dopo la fase pilota?
Durante la sperimentazione iniziale abbiamo osservato come l’attività uno-a-uno si sia rivelata un luogo protetto in cui sperimentarsi e a partire dal quale affacciarsi progressivamente al resto del gruppo e al mondo esterno. In altre parole, la raccolta dell’uva ha rappresentato un espediente finalizzato a sostenere la socialità, e dunque una risorsa esportabile ad altri contesti. A settembre 2022 abbiamo discusso i risultati preliminari alla conferenza internazionale dedicata alla salute mentale dei giovani, che ha incoraggiato un ulteriore sviluppo del progetto. Nel 2023 le attività si sono infatti spostate presso le vigne didattiche dell’istituto Umberto I di Alba, dove i partecipanti si sono presi cura della vite per tutto il ciclo naturale (dall’inverno alla vendemmia di fine estate) a fianco degli studenti e delle studentesse (peer-training) e sotto la supervisione del personale docente e tecnico (co-training).
La collocazione dell’intervento in un contesto scolastico ha notevolmente ridotto la pressione e il timore di sbagliare, laddove l’errore era accolto come opportunità di apprendimento per tutti. Il progetto ha così esplorato la dimensione “peer” in una duplice prospettiva: oggettiva/esterna (l’affiancamento di persone prossime l’una all’altra per età, che condividono registri interpretativi e comunicativi) e soggettiva/internalizzata (la collaborazione con gli studenti ha sostenuto i partecipanti nel sentirsi pari, nella misura in cui traiettorie biografiche alterate dall’insorgere di un disturbo hanno influito negativamente sulla loro rappresentazione di sé, sul sentirsi altezza dei coetanei e delle attese sociali).
La lunga durata del progetto (gennaio-settembre 2023) ha permesso che i timori iniziali di non saper “stare” nel contesto in maniera appropriata lasciassero il posto a un clima di progressiva familiarità, a scherzi e a sorrisi, al riconoscersi incontro dopo incontro, al chiamarsi per nome o soprannome. Nel contatto diretto, mediato dalle attività colturali sulle viti, partecipanti e studenti hanno potuto incontrarsi ed esperire l’instaurarsi di relazioni, l’espressione di sé e l’acquisizione di un ruolo riconosciuto dagli altri.
In che modo è stato monitorato il progetto? Quali evidenze sono state raccolte?
La ricerca che ha accompagnato il progetto, depositata nella Banca Dati di Progetti e Interventi di Prevenzione e Promozione della Salute del Dors Regione Piemonte, ha evidenziato come questo sia stato in grado di contrastare sia l’auto-stigma sia lo stigma. Nel primo caso, l’iniziativa ha disconfermato nei partecipanti le aspettative di fallimento e la svalutazione di sé, valorizzando le capacità e le caratteristiche soggettive di ciascuno. Nel secondo caso, l’esperienza formativa degli studenti accanto a persone con vissuti di disagio mentale (contact-based education) ha contribuito a screditare disinformazione e false credenze sul disagio psichico, riducendo il pensiero stereotipato e il desiderio di distanza sociale. In altre parole, il progetto ha mostrato come sia possibile (ed efficace) fare informazione e de-stigmatizzazione all’interno della comunità, senza mettere esplicitamente a tema a priori la salute mentale e le forme di disagio che la compromettono.
Quale futuro si aspetta per questa iniziativa e per le azioni nel campo della salute mentale dei giovani?
Gli esiti del progetto Vineyard sono promettenti e ci stanno ispirando a disegnare altri interventi orientati ai medesimi obiettivi di inclusività, de-stigmatizzazione e orientamento alla recovery. In particolare, la fruttuosa collaborazione con enti esterni ai servizi di salute mentale, presso contesti non usuali e attraverso attività terapeutiche non tradizionali, ha stimolato riflessioni più ampie circa il tempo presente e le sue sfide.
Le molteplici manifestazioni di disagio espresse oggi da giovani e giovanissimi chiamano i professionisti a interrogarsi circa i propri strumenti e le lenti che indossano per interpretarle. Quella degli adolescenti e dei giovani adulti si mostra sempre più come una popolazione culturalmente “altra”, dotata di linguaggi e di rappresentazioni che sfidano le categorie interpretative dei saperi specialistici stessi. Si rende necessario accostarvisi vestendo i panni dello “straniero”, che approda a un nuovo contesto carico di immagini precostituite inadeguate e che deve costruire con i propri ospiti un rinnovato orizzonte interpretativo comune.
Gli interventi promossi dai servizi hanno bisogno di riflettere tale prospettiva, aprendosi all’inatteso e alla libera espressione delle istanze delle persone coinvolte. Ciò può realizzarsi solamente sviluppando interventi che incorporino le esigenze e le preferenze di individui e gruppi sociali, tenendo in considerazione le specificità locali e le risorse che i territori possono mettere a disposizione. Solamente attraverso la partecipazione attiva delle parti e le connessioni virtuose tra sguardi disciplinari, attori sociali e servizi diversi sarà possibile rispondere efficacemente alle esigenze odierne in materia di benessere e di salute mentale, valorizzando le reti di relazioni che fondano la più ampia comunità.
Fonte: secondowelfare