a cura di Tiziana Metitieri
Con l’estate e le distrazioni che porta appaiono improvvisamente rientrate le preoccupazioni della stampa generalista, degli opinionisti e dei rappresentanti politici per la salute mentale della popolazione. A dire il vero solo alcune fasce di popolazione – quelle che vanno dall’infanzia all’adolescenza – risultano meritevoli di attrarre le attenzioni stagionali di media, politica e loro intersezione. Difatti, il panico morale sulla salute mentale dei più giovani costituisce un meccanismo ormai collaudato di distrazione dalla situazione economica e sociale di un determinato momento storico nonché una strategia commerciale per fare entrare nelle scuole e nella rete sanitaria e assistenziale ogni tipo di progetto riparatore senza che ne sia stata sperimentata l’efficacia.
Restano sistematicamente assenti dagli appelli sulla salute mentale le fasce di persone adulte che continuano a essere esposte a molteplici fattori di rischio, soprattutto in questo periodo storico tra la pandemia, la crisi climatica e quella economica.
Assordante, in particolare, è il silenzio sulle conseguenze per la salute pubblica della scelta del governo di destra in carica di eliminare il reddito di cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale istituita a marzo 2019.
Misura di Inclusione Attiva: il governo Meloni modifica in peggio il Reddito di Cittadinanza
La stretta relazione tra condizione economica, distribuzione delle risorse e salute era stata analizzata nel rapporto sulle Disuguaglianze di salute in Italia (Inequalities in Italy), pubblicato nel 2004 da Epidemiologia e Prevenzione.
Il rapporto identificava i determinanti sociali e sanitari che contribuiscono allo stato di salute di una popolazione e rintracciava tre elementi emersi dagli studi più avanzati sull’interazione tra salute e società:
- “La perdita di salute non dipende solo da fattori biologici, fisici, chimici, ma anche da cause sociali;
- La collocazione sociale influenza la condizione del malato determinando non solo la frequenza, ma anche il decorso e l’esito di malattia;
- È ampiamente dimostrata la validità di un modello di welfare state che integri un sistema di sicurezza sociale e un servizio sanitario nazionale pubblici” (dalla prefazione di Fabrizio Rufo, p. VIII).
Considerati i profondi squilibri strutturali e territoriali della nostra società, le politiche sociali dovrebbero essere declinate territorialmente, seguendo “la geografia della povertà”, scriveva Antonio Caiazzo nel rapporto. “Adottando l’insufficienza della spesa e del reddito come indicatori della distribuzione delle condizioni di svantaggio”, continuava Caiazzo a prologo della sua analisi delle politiche di contrasto, “è possibile delineare una mappa del potenziale rischio socioeconomico di cattiva salute della popolazione”.
Laura Shields-Zeeman, del Dipartimento di Salute Mentale e Prevenzione dell’Istituto olandese per la salute mentale e le dipendenze (Trimbos Institute), e l’epidemiologo olandese, Filip Smit, nel loro commento a uno studio, pubblicato sulla rivista The Lancet a giugno del 2022 da Rachel Thomson e collaboratori, riguardante l’impatto dei cambiamenti del reddito sulla salute mentale, mettono in evidenza tre aspetti rilevanti.
Il primo aspetto si riferisce alla “importanza di concentrarsi sulla sicurezza del reddito nelle politiche (sanitarie) pubbliche, comprese misure politiche come la riduzione del debito, il salario minimo e il sostegno al reddito”; il secondo aspetto riguarda il fatto che “la perdita di reddito può portare al deterioramento della salute mentale che, a sua volta, può minacciare ulteriormente la sicurezza del reddito, perpetuando un ciclo di povertà o insicurezza del reddito e problemi di salute mentale”, che potrebbe avere effetti a lungo termine; il terzo aspetto è un richiamo a ricerche longitudinali e a metodi rigorosi per giungere a “stime affidabili di relazioni causali in contesti del mondo reale in cui gli studi controllati randomizzati potrebbero non essere fattibili”, in modo da “guidare le politiche pubbliche che cercano di migliorare la salute mentale della popolazione”.
Lo studio di Thomson e colleghi dell’Università di Glasgow, a cui il commento fa riferimento, si basa su una revisione sistematica e su una meta-analisi della letteratura scientifica nella quale è stata inclusa la valutazione del rischio di distorsioni interne agli studi selezionati, incrementando la certezza delle evidenze ai fini dell’interpretazione della causalità. Negli studi precedenti era stata considerata la relazione bidimensionale tra reddito e salute mentale per cui, da un lato, la perdita di reddito causa disturbi mentali in particolare in relazione a cambiamenti drastici come la perdita del lavoro e la diminuzione di reddito, dall’altro lato, la malattia mentale peggiora la situazione lavorativa delle persone, incidendo sulle dimensioni cognitive e emotive in assenza di inclusione e accesso alle cure. Questo ha portato diverse ricerche a considerare sia l’impatto sulla salute mentale di misure che riducono la povertà sia l’impatto sulla situazione lavorativa del trattamento dei disturbi psicopatologici come ansia e depressione, in modo da fornire indicazioni affidabili per le scelte governative.
Dallo studio di Thomson e colleghi risulta che siano i cambiamenti nel reddito ad avere un effetto causale sulla salute mentale degli adulti in età lavorativa, sebbene la certezza della dimensione dell’effetto sia condizionata dall’eterogeneità degli studi analizzati. Ne deriva che le politiche di welfare, tese a migliorare la salute mentale pubblica, dovrebbero dare la priorità alle misure di contrasto alla povertà.
Dallo studio emerge che “il reddito ha effetti benefici sulla salute mentale e sul benessere”. In particolare, negli studi analizzati, gli aumenti del reddito hanno portato a un miglioramento nelle misure di salute mentale e delle misure di benessere ma gli effetti sono stati fino a 13 volte superiori laddove gli aumenti di reddito portavano le persone fuori dalla povertà.
Per quanto riguarda invece la diminuzione del reddito, l’ampiezza del peggioramento riportato sulle misure di salute mentale era superiore all’ampiezza del miglioramento. Pertanto, una diminuzione del reddito ha un impatto maggiore e negativo sulla salute mentale rispetto all’impatto positivo di un suo incremento.
Thomson e collaboratori hanno anche confrontato le dimensioni di tali effetti con i trattamenti farmacologici e psicoterapeutici, dimostrando che “gli interventi basati sul reddito che spostano le persone al di sopra della soglia di povertà potrebbero avere circa la metà dell’efficacia degli antidepressivi e un quarto dell’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel migliorare la salute mentale”. Inoltre, dato che “questi trattamenti sono studiati principalmente in individui ad alto rischio piuttosto che in campioni di popolazione generale, i potenziali impatti degli interventi di contrasto la povertà a livello di salute mentale della popolazione potrebbero essere sostanziali”.
Pertanto, concludono Thomson e collaboratori “i responsabili politici dovrebbero progettare politiche del reddito e del welfare che forniscono un’adeguata rete di sicurezza finanziaria per i più svantaggiati dal punto di vista socioeconomico”.
Se l’effetto della perdita di reddito è più dannoso per la salute mentale di quanto non lo siano altri cambiamenti, rilevano Shields-Zeeman e Smit nel commento citato precedentemente, “affrontare l’effetto negativo della perdita di reddito è particolarmente rilevante nell’attuale contesto economico, che è stato influenzato da shock esterni come la pandemia di COVID-19, il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina; tutto ciò contribuisce potenzialmente all’insicurezza economica attraverso la perdita di posti di lavoro e di reddito. Anche senza alcuna perdita di reddito, l’aumento dei prezzi di energia, cibo e abitazioni ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie”.
L’individuazione delle persone più esposte ai rischi di problemi di salute mentale come le famiglie vulnerabili o le persone senza occupazione diventa determinante per indirizzare le politiche di contrasto alla povertà e di inclusione sociale nei territori più deprivati. Tali politiche permettono anche di prevenire gli effetti a lungo termine del circolo vizioso della povertà che intrappola e perpetua le deprivazioni rendendone impossibile, al di sotto di una certa soglia di povertà, l’uscita.
Si tratta di una “trappola della povertà” che, secondo il rapporto ISTAT, pubblicato il 7 luglio scorso, è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea e sta aumentando più che altrove, a confronto con il 2011. “Gli ultimi dati disponibili per la comparazione a livello europeo” si legge nel rapporto, “ si riferiscono al 2019 e ci dicono che nel nostro paese quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria”.
Ancora secondo il rapporto annuale dell’ISTAT, un ampio segmento dei giovani tra i 18 e 34 anni si trova in condizioni di deprivazione intesa come “il mancato raggiungimento di una pluralità di fattori (individuali e di contesto) che agiscono nella determinazione del benessere, rappresentato attraverso cinque domini” che, accanto a Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Benessere soggettivo e Territorio, includono la Salute, intesa come salute fisica e mentale e stili di vita.
In Italia, i giovani che nel 2022 mostrano un segnale di deprivazione in almeno uno dei cinque domini sono il 47,7% (18-34enni). La condizione di multi-deprivazione è più diffusa tra i 25 e i 34 anni (17,2%) ed è più accentuata nel Mezzogiorno (19,5% rispetto al 13,7% del Nord e al 12,3% del Centro). Nel rapporto si sostiene che “per mettere le nuove generazioni in grado di affrontare positivamente i cambiamenti in atto, e per prevenire l’insorgere di situazioni di vulnerabilità come quelle descritte sopra, è necessario garantire a tutti bambini fin dalla nascita livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale. Questo obiettivo va perseguito incidendo sui contesti di vita dei bambini e sulle opportunità educative, formative, culturali e di socializzazione a cui sono esposti”.
Un circolo vizioso di svantaggio e disturbi mentali è il risultato della loro interrelazione dinamica, come scrivevano Patel e collaboratori in un capitolo del volume dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2010 (Equity, social determinants and public health programmes). Per gli autori, “le prove disponibili indicano fortemente un aumento del rischio di disturbi mentali in condizioni di svantaggio sociale”, pertanto è fondamentale implementare strategie che rispondano alle esigenze dei gruppi svantaggiati della popolazione al fine di ridurre le disuguaglianze nella salute mentale. Le strategie possibili sono diverse. “Una strategia generale è il riconoscimento esplicito dell’equità come principio guida per le politiche della salute mentale” e, nello specifico, “è probabile che gli interventi per alleviare gli effetti della povertà sulla prevalenza dei disturbi mentali siano più convenienti se mirati a coloro che hanno i redditi più bassi”.
La progressiva abolizione del reddito di cittadinanza, le modalità con cui è stata comunicata e gli interventi a pioggia sulla salute mentale pubblica sembrano dimostrare una scelta deliberata a ignorare le evidenze scientifiche e le raccomandazioni internazionali nell’azione politica socio-sanitaria di questo governo. Le conseguenze della deprivazione e dell’intrappolamento nell’esclusione sociale, come dimostrano i dati disponibili, si estenderanno anche alle generazioni successive accentuando le disuguaglianze e incidendo sulla salute di chi si trova a nascere o a vivere nelle aree più svantaggiate del territorio nazionale senza potersi spostare.
Sarà solo la bella stagione con le sue distrazioni a sopire gli appelli accorati sui nostri media.
Fonte: Valigia blu