di Antonella Palermo – Città del Vaticano
Nel centenario della nascita del riformatore della disciplina psichiatrica in Italia, l’esperienza del Centro Diurno dell’Unità Operativa Complessa di Salute Mentale del Distretto VIII, DSM ASL Roma2, dove gli utenti ritrovano socialità e attraverso il lavoro creativo recuperano la capacità di stare nel mondo. Il direttore Milano: bisogna lavorare in rete, non avere vergogna di chiedere aiuto. La vera cura è la relazione
La salute mentale non si fa nelle mura, ma nei territori, nella vita. L’insegnamento di Franco Basaglia, riformatore della disciplina psichiatrica in Italia, di cui l’11 marzo si è celebrato il centenario della nascita, risuona come una delle rivoluzioni più radicali della storia. La visita al Centro Diurno dell’Unità Operativa Complessa di Salute Mentale del Distretto VIII, DSM ASL Roma 2 è un evidente esempio di come, attraverso percorsi che a quell’insegnamento si ispirano, si può riscoprire se stessi e il proprio posto nel mondo.
L’icona di liberazione e dignità
Porte aperte, libera circolazione, accoglienza. Sono i tratti di questi ambienti, nel quadrante sudest della capitale, che all’origine erano una scuola e oggi sono laboratori e spazi di socialità dove chi soffre di disturbi mentali può uscire dall’isolamento. Vi campeggia anche un cavallo gigante, in cartapesta, coloratissimo. È il simbolo che rimanda a quel “Marco Cavallo” realizzato nel 1973 nel manicomio di Trieste da un’idea di Giuseppe Dell’Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia, l’opera collettiva frutto del contributo dei laboratori artistici creati all’interno della struttura nosocomiale da Franco Basaglia, allora direttore dell’Ospedale psichiatrico. Come quel cavallo, anche questo è azzurro: all’epoca furono gli stessi pazienti a decidere colore e grandezza, per loro avrebbe dovuto idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all’esterno un segno visibile e rappresentativo dell’umanità allora nascosta e misconosciuta. Icona della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge 180 del 1978, anche oggi rappresenta l’istanza di liberazione e riconoscimento di dignità.
Vito, lo chef: “Formare i ragazzi è una gioia”
È sabato, il giorno settimanale in cui al Centro Diurno della zona San Paolo si recano meno persone, normalmente è frequentato da una cinquantina di utenti. Donato Vito ha il cappello da chef e, sull’uscio della cucina, accenna che proprio con chef stellati ha avuto la fortuna di lavorare in passato: “Ho girato l’Europa, cucinando, e ora metto in pratica la formazione con i ragazzi. Io sono il formatore. Il pomeriggio formo i ragazzi. L’anno scorso è uscito Sergey, bravissimo, che adesso lavora. Noi aiutiamo i ragazzi piano piano. Facciamo tutto a mano – precisa – perché la manualità è importante”. Racconta, con un misto di pudore e sorriso sornione, che “stare a contatto con i ragazzi significa avere delle soddisfazioni, è una cosa che si sente dentro… Dona tanta felicità, gioia, quando aiuti le persone più disagiate, anche se a fine servizio si esce pure con la testa piena… Poi più sono giovani – sottolinea – più è difficile tenerli a freno. Però hanno bisogno di noi”.
La vera cura è la relazione
“Sergey è uno di quelli che ha superato la sua fase problematica e ha ripreso in mano la sua vita”, spiega Stefano Milano, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Salute Mentale del Distretto VIII, DSM ASL Roma 2. La manualità, sì, è importantissima a livello terapeutico. “Quello che si scopre facendo queste esperienze è che la salute mentale ha bisogno di relazioni. Il farmaco riesce ad alleviare i sintomi, e quasi sempre è necessario, ma la vera cura la fa la relazione, l’essere nel mondo, la scoperta di se stessi nel mondo. Questo Basaglia ha messo nel suo pensiero: che al centro c’è la persona, non c’è la malattia”.
Il disagio mentale giovanile è in aumento
I dati sull’aumento del disagio giovanile dovrebbero interpellare l’opinione pubblica e le istituzioni: “In questi ultimi anni c’è stata un’esplosione del disagio. C’è stato un aumento del 40%, soprattutto a livello di ansia e depressione e anche di dipendenze di vario genere (sostanze, gioco d’azzardo, alcol). Aumentati anche i comportamenti autolesionistici: tagliarsi, per esempio, è molto diffuso, anche tra i minorenni. Anche i disturbi alimentari sono esplosi, dopo la pandemia. E poi c’è un aumento del 75% in Italia dei suicidi in età giovanile. Quindi – osserva Milano – la fascia giovanile grida aiuto e i servizi cercano in vari modi di far fronte alle necessità”. Sforzi a dir poco epici, in certi casi, considerata la condizione di sottofinanziamento ormai storica del settore. La spesa devoluta alla salute mentale dovrebbe essere il 5% di quella sanitaria, in Italia oggi si investe solo la metà.
I viaggi, scambio culturale e percorso interiore
Marco Nervegna è infermiere e sfoglia un catalogo dal titolo “Abazungu. I sapori dell’incontri”. Raccoglie l’esperienza, fotografica e di restituzione narrativa, dei viaggi realizzati con gli utenti del Centro in diversi Paesi dell’Africa tra il 2009 e il 2017: dall’Etiopia al Mozambico, poi in Rwanda, Tanzania, Madagascar. Ci si è spinti anche in Vietnam in una occasione. Per lo più si è trattato di viaggi fatti in collaborazione con Ong che operano sul campo, con l’idea di fondo che lo scambio culturale ha ricadute molto positive sulla percezione dei propri disturbi mentali. “Ci siamo resi conto che le cose alla fine erano più semplici del previsto”, sottolinea Nervegna. “Tante volte l’ansia è qualcosa che ci portiamo dietro ma sul campo spesso le cose sono più facili. La bellezza è stata una sorta di ‘inversione di ruolo’ dei nostri utenti. Qui a Roma erano bisognosi di aiuto, lì in Africa erano proprio loro a offrire la competenza acquisita, il loro saper fare, quello che avevano imparato qui”. C’è l’idea che è possibile confrontarsi con il mondo esterno, rimarca Ester Pace, assistente sociale: “Portare nella semplicità del quotidiano la propria esperienza e rendersi conto che chi ha una fragilità mentale può interagire”. Recarsi in Africa è stato anche rendersi conto di come ci sono ancora regioni del mondo dove i diritti umani sono calpestati, dove il peso dello stigma e dei pregiudizi porta a incatenare ai ceppi, agli alberi chi soffre di disturbi mentali. Invece è mettersi in cammino che umanizza e guarisce, lo dimostrano anche le esperienze di trekking (in Italia in convenzione con il CAI che offre gratis la guida due volte a settimana), che pure alcuni utenti hanno avuto modo di fare perfino sulle montagne del Tigray. Cammini in cui si ha l’opportunità di compiere un viaggio interiore importante e che in alcuni casi è diventato un prodotto per il digital storytelling.
Silvia, Christian: una socialità ritrovata
Silvia Della Branca si aggira con fare esperto e dinamico nel Laboratorio Cucina. “Vivevo in una casa famiglia tanti anni fa, poi mi hanno portato al Centro Diurno”, accenna, e le brillano gli occhi quando ricorda il viaggio in Africa, una sorta di conquista. “Ora sto bene, lavoro, faccio le cose, mi occupo dei lavaggi. Sono contentissima”, esclama. “Io sono riuscito a uscire, bene o male, da una situazione molto pesante, con tre ricoveri e due TSO (Trattamento sanitario obbligatorio), in realtà non ricordo nemmeno bene quanti siano stati, perché preferisco non ricordare”, racconta Christian Mosconi. Laureato in Lettere, ora lavora alla Regione Lazio, dove si è immerso in un’opera di catalogazione di una ingente parte della documentazione dell’Ente, “inventariandola foglio per foglio, con migliaia di faldoni”. Non nasconde il suo senso di liberazione: “Sebbene il lavoro sia molto impegnativo, è pieno di soddisfazioni e mi ha permesso di uscire da una serie di dinamiche familiari che non andavano verso altre dinamiche estremamente soddisfacenti. C’è stato un recupero della socialità e della capacità di stare nel mondo, di avvicinare e capire le altre persone”. Un traguardo forse ancora impensabile per famiglie intrappolate da paure o vergogne e per coloro che preferiscono mettere in atto vie sbrigative di “difesa” dalla società. “Bisogna difendersi, sì – precisa Christian – in qualche maniera, dal mondo. Ma bisogna arrivare a saper gestire le situazioni senza ricorrere all’aggressività, per esempio. Non c’è bisogno di risposte violente”.
Oltre lo stigma, avere il coraggio di chiedere aiuto
Il Centro Diurno ha un laboratorio di lettura, di sartoria, di decoro, di informatica, un erbario. Luoghi in cui l’impegno creativo dà modo di acquisire, o ri-acquisire delle abilità nel rispetto della qualità di ciascuno. Quando i laboratori sono chiusi, grazie al progetto “Fuori orario”, possono essere aperti all’esterno per offrire ad alcune imprese sociali spazi di scambio e reciprocità di pratiche. “Sono pochi gli uomini che possono vantarsi di aver cambiato il destino di tanti altri uomini: Basaglia è uno di questi”, osserva convinto il direttore. “La salute mentale non si fa all’interno delle mura, né all’interno dei servizi di salute mentale ma si fa nel territorio, nella vita. Purtroppo, a distanza di più di quarant’anni dalla legge 180, molte famiglie tengono nascosti i propri figli, hanno paura dello stigma, per portarli quando magari è già tardi per poterli prendere in carico. Noi riteniamo – aggiunge – che il Dipartimento abbia anche questa responsabilità, di comunicazione con il mondo”. A ottobre tornerà il Festival della Salute Mentale RoMens, per l’inclusione sociale contro il pregiudizio, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e alla Salute. “Giunto alla terza edizione, quest’anno si chiamerà Musicchens, e sarà centrato soprattutto sull’aspetto musicale. Coinvolgerà la comunità intera, siamo noi che usciamo fuori. Perché non bisogna vergognarsi, si deve avere il coraggio di chiedere aiuto. L’anno scorso il sindaco stesso ha premiato gli elaborati migliori che erano stati realizzati nelle scuole. È fondamentale che chiunque abbia in mano la crescita dei ragazzi sia coinvolto”.
Lavorare in rete per accogliere il disagio e restituire dignità
La serra nel giardino del Centro Diurno è adibita agli eventi, allo scambio con l’esterno. Ci sono sagome di corpi-tessuti, leggeri e fluttuanti, testimoni mutevoli di ricordi, dialoghi emersi nel corso dei laboratori che esplorano la profondità della memoria individuale e collettiva. E poi “parole sospese”, che rievocano le esperienze del trekking. “È necessario sempre di più che i servizi si orientino per accogliere questi giovani con un lavoro dedicato, con il coinvolgimento delle famiglie”, sottolinea ancora lo psicologo Milano. “Noi a Roma2 utilizziamo molto i gruppi multifamiliari in cui i familiari partecipano ai percorsi di ripresa dei ragazzi. Bisogna creare una rete, anche con il coinvolgimento delle scuole. Il servizio di salute mentale non può essere un servizio specialistico. C’è una complessa situazione che va affrontata tutti insieme. È possibile avere delle difficoltà – chiosa – avere dei problemi, soffrire anche tanto e pensare addirittura di porre fine alla propria vita, ma esistono dei luoghi in cui questa sofferenza può essere accolta. Mi piace dire che questi sono luoghi abilitativi, non tanto ri-abilitativi, dove anche i giovani possono scoprire loro stessi e vivere la propria vita dignitosamente”.
Fonte: VATICAN news