Habemus Papam

Se si dovessero intercettare i tre autori italiani che, tra tutti, hanno fatto della psicanalisi un ingrediente fondamentale della propria opera filmica, questi sarebbero, senza dubbio, Massimo Troisi, Carlo Verdone e Nanni Moretti. Se però nel prima essa era uno dei tanti ingredienti che servivano a rimpolpare una visione destrutturante della società, della cultura, dell’arte e dell’uomo italiano del Novecento, negli altri due questa è stata spesso una ossessione. Forse perché parliamo di nomi che, ispirandosi molto al cinema alleniano, hanno fatto dell’autonarrazione e dall’autoanalisi il principale faro artistico.

Habemus Papam di Nanni Moretti ha rappresentato un salto in questo senso per il regista Palma d’oro, che proprio dopo La stanza del figlio, vincitore sulla Croisette, torna a vestire i panni di uno psicoanalista, stavolta mettendo un disturbo psicologico al centro della pellicola, per di più legata alla figura apicale di uno di questi sistemi di poter che hanno spesso negato l’efficacia di tale scienza. Il titolo non è però un semplice ritratto iconoclasta.

Moretti utilizza la psicoanalisi per parlarci del tabù legato all’accettazione del senso di inadeguatezza e al peso della solitudine. La crisi depressiva del papa di Michel Piccoli è una ribellione contro l’isolazionismo ideologico che arriva a negare addirittura ciò che ha mosso i suoi primi passi: la fede. La riscoperta della propria spiritualità diventa la riscoperta di se stessi e delle proprie fragilità in quanto essere umano. La psicoterapia come strumento per trovare Dio.

Fonte: Movie Player

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