Per sostenerlo questo “coraggio delle idee” servono risorse, personale che abbia una formazione professionale e umana pronta al cambiamento , che abbia nel piacere della curiosità culturale la leva per fare ricerca e sperimentazione che sono gli strumenti per essere degli “equilibristi “ non su una fune in balia dei venti ma su una trave dove, con il giusto insegnamento, si possono pure fare delle belle evoluzioni e, se anche si dovesse cadere, si cade da un’altezza sensibilmente diversa e meno rischiosa
Ho avuto la possibilità di leggere il libro di Cavicchi “oltre la 180” e l’ho fatto con l’interesse di un infermiere che opera nel campo della Salute Mentale dal 1988. È stato un momento di riflessione su quanto appreso nella formazione e con quanto quotidianamente mi confronto. Nel mio percorso formativo ho avuto modo di conoscere quale è stato il lavoro intellettuale e pratico operato da Franco Basaglia che ha portato alla creazione della Legge 180 facendo nascere una riforma che nessun altro paese occidentale ha avuto.
La legge, che si fonda sulle idee di Basaglia, non prevede tra i suoi articoli nessun riferimento all’istituzione dell’organizzazione dei Servizi che avrebbero dovuto sostituire l’ospedale psichiatrico, ne decretava l’abolizione e il superamento limitandosi a cancellare la possibilità di internamento, vietando nuovi ingressi coercitivi.
La legge ha quindi posto solo le basi della riforma che per essere attuata ha richiesto parecchio tempo, tanto che, gli atti legislativi che ne hanno permesso l’applicazione e i princìpi clinici indicati da Basaglia negli anni settanta sono stati definiti soltanto a partire dal 1994, con l’approvazione di un progetto-obiettivo chiamato Progetto-Obiettivo per la Tutela della Salute Mentale integrato nel Piano Sanitario 1998-2000.
Il Progetto Obiettivo è stato successivamente ripreso dalle delibere delle singole Regioni per meglio definire norme e principi per la costituzione delle strutture territoriali. Il progetto obiettivo ha fornito quindi un quadro di riferimento per dare avvio ad una riorganizzazione sistematica dei Servizi deputati all’assistenza psichiatrica che vede nell’attuale Dipartimento di Salute Mentale (DSM), l’organismo di coordinamento per assicurare l’integrazione dei Servizi psichiatrici di uno stesso territorio.
Lo scenario attuale però presenta purtroppo parecchie criticità che il libro di Cavicchi mette bene in evidenza descrivendo gli scenari attuali.
Le riflessioni scaturite dalla lettura mi hanno portato quindi ad interrogarmi se sia nello spirito della riforma e se sia funzionale oggi un DSM che agisce e si muove:
- In una “gabbia” burocratica dove le norme che regolano i Servizi snaturano la possibilità di erogare in maniera commisurata al bisogno che la persona esprime gli interventi assistenziali e riabilitativi;
- Con uno stile di lavoro finalizzato alla valorizzazione economica delle prestazioni in un’ottica di attenzione alla gestione del budget assegnato al Dsm;
- In un “puzzle” dei Servizi che si occupano di Salute Mentale dove ogni Servizio fa la sua parte con estrema difficoltà nell’integrarsi;
- Senza conoscere ne tenere conto delle competenze professionali specifiche e specialistiche che gli operatori hanno;
- Accettando le risorse umane che vengono assegnate, anzi destinate (verso quale destino?) che molto frequentemente non hanno formazione specifica o, ancor peggio, nessun interesse nell’area specifica;
- Definendo percorsi di cura, progetti assistenziali e riabilitativi che non tengono conto dell’integrazione multi professionale né tantomeno delle migliori evidenze disponibili;
- Con una forte connotazione medico centrica dove convivono, senza integrarsi, vari approcci che fanno riferimento a più scuole di pensiero;
- Con risorse di personale insufficiente e chiede che siano incrementate attraverso la revisione degli standard di personale
Personalmente credo che sia comunque possibile per gli operatori dei Servizi riprendere in mano “la 180” togliendola da quel limbo di incertezze che, se da un lato è una parte riconosciuta e presente del nostro agire, dall’altra paralizza e crea gli alibi per non andare oltre, per non osare, per non sperimentare, per non rinnovare colludendo di fatto con il “bisogno di non cambiare” che la patologia e le sue cronicità ci offrono quotidianamente.
Serve quindi avere “il coraggio delle idee“, di ascoltarle quelle idee coraggiose che possono permettere agli “equilibristi” citati da Cavicchi di uscire dalle “gabbie” della burocrazia dei Servizi e di potersi muovere senza paura scegliendo all’interno di una relazione di cura gli strumenti che di volta in volta sono i migliori per quella persona che a noi si affida.
Strumenti che abbiano nella definizione di un progetto di vita co-costruito con la persona portatrice del bisogno la forza perché sia veramente unico e personale. Un progetto di vita personalizzato dove tutte le professionalità dell’equipe che con pari dignità professionale concorrono a fornire le migliori risposte professionali disponibili in quella realtà e per quella persona.
Per sostenerlo questo “coraggio delle idee” servono risorse, personale che abbia una formazione professionale e umana pronta al cambiamento , che abbia nel piacere della curiosità culturale la leva per fare ricerca e sperimentazione che sono gli strumenti per essere degli “equilibristi “ non su una fune in balia dei venti ma su una trave dove, con il giusto insegnamento, si possono pure fare delle belle evoluzioni e, se anche si dovesse cadere, si cade da un’altezza sensibilmente diversa e meno rischiosa.
Pertanto, come posso quindi come professionista infermiere agire concretamente questo “coraggio delle idee”?
A livello di macro sistema facendo rete con tutti i professionisti dell’area della Salute Mentale partecipando alle iniziative che portino la Regioni ad assumersi un impegno concreto per arrivare a mettere compiutamente e correttamente a disposizione dei DSM-D quel 5% della quota destinata alla Salute Mentale.
Nella realtà operativa collaborando alla costruzione di Servizi che esaltino l’empowerment prima degli operatori e poi degli utenti e di tutti gli stakeholders. Servizi che evitino la parcellizzazione delle cure tra i vari ambiti di intervento (Psichiatria, SerD, NPIA) ma che si integrino mettendo al centro la persona e non la diagnosi o il problema. Collaborare a costruire percorsi tra Servizi che diano risposte integrate anche attraverso forme di compresenza tra vari specialisti con PDTA ben strutturati.
Sostenendo e favorendo l’adozione di Modelli organizzativi che permettano la possibilità di avere percorsi di presa in carico gestiti con budget di salute all’interno dei quali gli infermieri possano svolgere anche la funzione di Case Manager. Mettendo a disposizione la propria professionalità affinché vi siano Servizi dove l’integrazione multidisciplinare e multiprofessionale non sia solo uno slogan ma un effettivo, nuovo e vigoroso passaggio da una cultura medicocentrica ad una cultura del sapere diffuso, accessibile, utilizzabile e spendibile al meglio per la persona che si rivolgono ai Servizi di Salute Mentale.
Uno spazio più ampio merita l’attenzione alla formazione partendo dall’essere presente nei percorsi formativi universitari per fornire una formazione che ponga l’accento sull’essere infermiere pronto a svolgere la propria attività, in una area come quella della Salute Mentale, che ha una connotazione rivolta al luogo di vita della persona. Una formazione di base che formi per quella Psichiatria di Comunità che, partendo dalla differenziazione dei percorsi di cura per intensità assistenziale secondo i bisogni di salute emergenti, porti l’Infermiere adoperarsi in diversi contesti operativi: al domicilio, in ambulatorio, in ospedale, in residenze a vario grado di protezione, nei Centri Diurni, nel contesto sociale più ampio (rete formale e informale).
Serve una formazione universitaria che permetta di avere competenze per poter assistere la persona nelle sue componenti bio-psico.sociali nel suoi contesto di vita, che fornisca gli strumenti per un lavoro di rete e essere continuamente orientato alla recovery quale ricostruzione della piena cittadinanza della persona che assiste.
Abbiamo bisogno come infermieri che la formazione infermieristica in Salute Mentale venga ripensata in tutto il suo percorso già a partire dalla formazione di base che oggi è disomogenea per quanto riguarda i contenuti degli insegnamenti (parliamo ancora di assistenza infermieristica in igiene mentale) sino ad una formazione post base specialistica che permetta una migliore e maggiore acquisizione di strumenti avanzati di comunicazione, assistenza e riabilitazione prendendo spunto dalla realtà quotidiana che i cittadini e gli utenti affrontano ogni giorno nella loro esistenza mediata dalla patologia.
In ultimo mi piace ricordare qui come l’art. 4 “Relazione di cura” del nostro Codice Deontologico del 2019 si conchiuda affermando che “…il tempo di relazione è tempo di cura”.
Dott. Cesare Giovanni Moro
Fonte: Forum 180