Consapevolezza al centro della cura della salute mentale, intervista a Felicia Giannotti presidente di Progetto Itaca

“La normalità nella psichiatria non è altro che l’accettazione della malattia, la consapevolezza, l’aderenza alla cura, il controllo medico e la ripresa di una vita normale. È una ferita che non si può cancellare, come una persona che subisce un infarto e ha una ferita al cuore”.

Così, la presidente Felicia Giannotti, in questo incontro, ci racconta il mondo dei disturbi della salute mentale visto da Progetto Itaca, “fondazione che promuove programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a persone affette da disturbi della salute mentale e alle loro famiglie”.

In che modo vi muovete per sensibilizzare sul tema della salute mentale, anche in termini di stigma?

È la finalità primaria di Progetto Itaca, nato con l’obiettivo di realizzare una grande opera di diffusione e di sensibilizzazione sui problemi della salute mentale, diffondendo un’idea scientificamente corretta della malattia, in maniera tale da superare i pregiudizi e lo stigma, che compromettono molto facilmente l’idea della persona malata e della malattia. Ci occupiamo d’informazione, prima di tutto. Proprio per dare una corretta immagine della malattia mentale. La malattia di un nostro organo, il cervello, le cui cause sono di varia natura. Esiste senz’altro una predisposizione biologica ma a ciò si aggiungono altri elementi sociali e psicologici perché è complessa. Non è né una colpa della persona che ne è afflitta né della famiglia con la quale la persona è vissuta ma si tratta di una serie di fattori che determinano questa patologia.

Un’immagine scientificamente corretta serve diffonderla per combattere tutti quei pregiudizi e tutto quello stigma che colpisce la persona malata, la famiglia e anche i professionisti che si occupano di questa malattia. Una persona che sta male, quando sente la parola ‘psichiatra’ si spaventa perché pensa che lo psichiatra sia il ‘medico dei matti’. Invece, lo psichiatra è lo specialista dei disturbi mentali. La prima direzione, nel momento in cui si vuole affrontare in maniera corretta il problema della salute mentale, è rivolgersi al professionista giusto: lo psichiatra. Noi, in quanto associazione, siamo nati proprio con questo scopo. Siamo un’associazione di pazienti e familiari che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della malattia mentale. Magari perdendo mesi e anni perché in difficoltà nell’accettarla, vergognandosi, maturando sensi di colpa, non sapendo che fare e quali erano e sono i professionisti a cui rivolgersi. Perdendo molto tempo.

Un elemento che influisce sulla condizione di chi è malato.

Si tratta di un problema serio, perché la perdita di tempo, come in tutte le malattie, aggrava la malattia stessa. Diffondiamo un’idea esatta in tutti i modi e con tutti gli strumenti di comunicazione, sui social e con i nostri progetti. Accanto a questo lavoro di informazione e comunicazione sulla verità relativa all’immagine della salute mentale, ci occupiamo anche di educazione e informazione per le giovani generazioni, recandoci nelle scuole con lo psichiatra e non con lo psicologo. Rispettiamo la professionalità dello psicologo ma lo psichiatra è l’unico professionista che può stabilire sin dall’inizio una diagnosi e può, in qualche modo, individuare la via da percorrere.

Una prevenzione possibile

Il professionista, se si rende conto che il disagio di una persona giovane non è legato ad una malattia mentale ma ad un disagio relazionale o familiare, può indirizzarla ai servizi di psicoterapia. Se il professionista individua i segni premonitori di una possibile malattia mentale è lo specialista più idoneo per affrontarla. Abbiamo abbracciato l’importante settore della prevenzione e nessuno pensava si potesse fare anche nell’ambito della malattia mentale. Noi la mettiamo in pratica per le giovani generazioni, perché sappiano individuare i sintomi e sappiano a chi rivolgersi, proprio attraverso un bellissimo progetto che portiamo nelle scuole.

È cambiata la percezione della salute mentale? Qual è il prossimo passo per far sì che venga considerata importante tanto quanto quella fisica?

Progetto Itaca è un’associazione nata a Milano nel 1999, diffusasi in tutta la Lombardia e successivamente in 17 sedi nelle varie regioni d’Italia. Abbiamo un servizio di ascolto, un numero verde al quale ci si può rivolgere, una chat e Itaca Incontra, al quale si rivolgono le persone che ci chiamano e hanno bisogno di un contatto one-to-one, un contatto diretto. Questi servizi ci permettono di avere il polso su questo delicato ambito un po’ in tutto il territorio nazionale. Nel 2023 siamo arrivati a quasi 11.000 chiamate da tutte le parti d’Italia. Da queste attività possiamo riscontrare che il disagio è molto aumentato. Il COVID e il post-COVID hanno fatto esplodere un disagio pre-esistente, soprattutto con la particolare condizione imposta dal lockdown. I numeri sono maggiori. Prima si rivolgevano a noi specialmente le mamme, ora si rivolgono a noi persone di qualsiasi sesso, età e classe sociale.

C’è un tema legato ai più giovani?

L’età si è abbassata; noi non possiamo occuparci di adolescenti ma di persone dai 18 anni in su, però le richieste di aiuto che provengono anche dal mondo della scuola sono diventate molto stringenti, perché c’è una situazione di gravissimo disagio già a partire dai 13-14 anni. A questo dettaglio si affianca anche un particolare sui giovani, che sono maggiormente informati e hanno meno pregiudizi. Ad averceli sono le generazioni precedenti, da quella dei genitori in su. Fanno fatica perché sono legati ad un’idea di malattia mentale pericolosa e si spaventano, hanno maggiore riluttanza. I giovani sono più consapevoli, chiedono aiuto; recentemente, in un istituto di Altamura in Puglia, sono stati gli studenti, che dopo aver raccontato con coraggio i loro problemi come ansia e attacchi di panico, hanno pregato l’associazione e la scuola di fare un’opera di informazione per familiari e insegnanti. C’è una maggiore consapevolezza e conoscenza, anche perché se ne parla dappertutto, nonostante non sempre l’informazione sia corretta. Un grosso gap esiste ancora nelle generazioni meno giovani che vivono molto di più il problema della vergogna e lo stigma.

Qual è il rapporto con i medici, in considerazione del fatto che stiamo vivendo una crisi e una carenza di assistenza? Quali sono le conseguenze su malati e cargiver?

Progetto Itaca, in quanto associazione del terzo settore composta da membri che si occupano di questo tema non come professionisti ma come volontari che hanno vissuto l’esperienza di malattia mentale in ruoli da familiari o pazienti, ha deciso di impegnarsi in un lungo percorso di formazione con l’aiuto di professionisti. Sin dall’inizio abbiamo scelto la collaborazione e non la contrapposizione ai professionisti della cura. I nostri corsi rivolti ai familiari portano un messaggio importante: occorre fare rete, ricorrere alle strutture della cura con i medici, essere parte attiva del percorso di recupero dei propri familiari, aiutando i medici e facendosi aiutare da loro.

Lettera alle istituzioni

Si tratta di un approccio innovativo ma complesso, che richiede un cambiamento di mentalità da parte del personale della cura, degli specialisti e dei familiari. Noi lavoriamo da anni seguendo questo metodo però ci scontriamo sempre di più con le grosse difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale, delle strutture territoriali, della gravissima mancanza di personale. Ci scontriamo con la chiusura di tanti centri, la difficoltà di sostituire gli psichiatri che vanno in pensione, di implementare le figure dell’infermiere specializzato e dei tecnici, la chiusura dei centri territoriali, in Lombardia si parla di CPS. La mancanza di psichiatri e personale. Senza esagerare, posso dire che si tratta di una situazione drammatica.

Come pensate si debba affrontare?

Con maggiori investimenti, maggiori forme di attrattività verso i giovani medici che si possono specializzare in psichiatria ma c’è una necessità urgente di aumentare i numeri di letti negli ospedali, creare i centri per i giovani, implementare il personale, investire in modo maggiore su questo problema che ormai è diventata una pandemia. Da questo punto di vista, stiamo cercando di far sentire la nostra voce di familiari a chi prende decisioni, a chi deve decidere lo stanziamento o l’aumento dei fondi e la distribuzione equa degli stessi. Come associazione, tra poco pubblicheremo una lettera che non vuole essere una contrapposizione alle istituzioni politiche ma vuole essere, come tanti altri, un grido di allarme e di richiesta accorata di interventi immediati, perché la situazione è pesante e di grande sconforto. Famiglie che non trovano risposte nelle strutture perché c’è mancanza di personale rimangono senza speranza e abbandonate a loro stesse.

Qual è il concetto di altro per quanto riguarda il disturbo mentale?

Il concetto di altro è il concetto del diverso. Da un modello comunemente diffuso. E per la salute mentale si aggiunge anche il concetto di pericoloso. Una persona diversa e anche pericolosa. La comunicazione che viene attuata sottolinea solo gli aspetti che possono verificarsi, specialmente quando una persona non è ben seguita. Questa è una malattia che ha bisogno di essere seguita con attenzione, con un rapporto continuativo tra le strutture, il medico curante, tutto ciò che riguarda la cura e il paziente. Se quest’ultimo è abbandonato a se stesso i rischi ci sono. Si tratta di una malattia che dev’essere seguita come qualsiasi malattia. Purtroppo, la carenza di strutture non permette una continuità di attenzione nei confronti del paziente nonostante sia necessaria.

Qual è invece il concetto di normalità e cosa è la guarigione?

Per quanto riguarda il concetto di normalità è quello comune a tutte le altre malattie: una persona con il diabete continua a fare la terapia e ricalibra la propria vita per la patologia in essere. Non significa che sia una persona non normale ma che ha adattato la propria vita agli eventi patologici che gli sono accaduti. La normalità nella psichiatria non è altro che l’accettazione della malattia, la consapevolezza, l’aderenza alla cura, il controllo medico e la ripresa di una vita normale. È una ferita che non si può cancellare, come una persona che subisce un infarto e ha una ferita al cuore. Una persona malata che conosce la propria fragilità è consapevole di dover seguire una cura e avere una buona qualità di vita, se seguito come per ogni malattia.

Autonomia e autostima la chiave della guarigione

Noi abbiamo tanti esempi di giovani che dopo difficili periodi di malattia e traversie pesanti, hanno potuto ritornare ad avere relazioni con gli altri, a dare il proprio contributo al centro stesso di cui fanno parte, a ricostruirsi ma con consapevolezza e aderenza alla terapia. Abbiamo molti esempi di persone che hanno potuto riprendere quella che noi riteniamo una vita sana, una vita giusta. Alcuni hanno raggiunto un’autonomia abitativa, altri si sono inseriti nel mondo del lavoro, altri ancora frequentano quasi quotidianamente il nostro ambiente, creano relazioni e acquisiscono maggior stima di loro stessi. Ecco cos’è la guarigione.

Pubblico e terzo settore, due mondi a parte

Noi del terzo settore ci soffermiamo ogni tanto su questa riflessione: i servizi che noi proponiamo li perpetriamo in modo gratuito e potrebbero essere di supporto al servizio pubblico in grande difficoltà, coprendo una serie di aree poco coperte come la prevenzione e l’inclusione sociale. Invece, siamo mondi staccati che non riescono a fare rete, tra le strutture dedicate alla cura e un’offerta di servizi a cui non si dà né la sufficiente importanza né il pensiero di forme di reciproco aiuto. I nostri servizi sono elargiti da volontari preparati, che si sottopongono ad un lungo percorso di formazione accompagnata all’esperienza diretta. Conoscono il disagio psichico perché l’hanno vissuto e lo vedono vivere, è un’esperienza maggiore, dal punto di vista umano e di individuazione di bisogni. Dovrebbe nascere una grande collaborazione. Oltretutto sarebbe un grande risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, se diventasse un rapporto continuativo. Mi riferisco ad associazioni come la nostra, che hanno una vita lunga e piena di attestati di professionalità, formazione, serietà, risultati. Dovremmo essere un tesoro a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale. Purtroppo, l’idea di una collaborazione reale del terzo settore con le strutture della cura non è ancora andata oltre le buone intenzioni. Si tratta di una grossa perdita, anche dal punto di vista economico.

Ci sono forme di disagio mentale che ci coinvolgono più di quanto pensiamo?

In Progetto Itaca affrontiamo tutti gli aspetti del disagio mentale. Dalla depressione all’ansia, dagli attacchi di panico al disturbo bipolare, dal borderline ai disturbi di personalità e la schizofrenia.


Quando si tratta di un disagio esistenziale parliamo di un problema di crescita, non di malattia mentale. È un problema di affermazione di autonomia e di ricerca della propria identità.


Un medico è in grado di distinguere se si tratta di prodromi di una futura malattia mentale o se si tratta di un disagio esistenziale e in quel caso lo orienta verso la psicoterapia e situazioni di natura psicologica relazionale. È differente, rispetto al riscontro di sintomi premonitori o già eclatanti dello sviluppo di una patologia che necessita una cura. Non ci occupiamo dell’autismo perché occorre una specializzazione, così dei problemi alimentari perché sono patologie molto complesse e li orientiamo ai centri in cui vengono trattate specificatamente. Abbiamo fatto una scelta precisa, quella della malattia mentale in tutte le sue forme, anche perché è questa l’esperienza vissuta da buona parte di noi.

Come entra la parola benessere nel vostro ‘vocabolario’?

Pur essendo legati alla patologia non siamo assolutamente chiusi al benessere personale perché una buona qualità di vita, delle sane abitudini alimentari e di sonno notturno sono fondamentali per le persone. Per quelle sane ma ancor di più per quelle malate. I disturbi del sonno sono un pericolo per qualsiasi persona e quindi dormire bene, fare attività sportiva e curare il proprio benessere è la base fondamentale per far sì che non si sviluppino o non esplodano delle patologie. È la base fondamentale per una buona vita. Noi di Progetto Itaca, con il nostro centro di inclusione sociale, conduciamo una vita equilibrata, con una sana alimentazione, attività sportive, all’aperto e culturali. Sono le basi fondamentali per ogni forma di benessere personale, fisica e mentale.

Fonte: Quoziente Humano

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