Tra le 32 Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) distribuite sul territorio italiano, la struttura di Calice al Cornoviglio, inaugurata due anni fa tra i boschi sulle alture dell’entroterra spezzino, si contraddistingue per essere l’unica destinata a pazienti provenienti da altre regioni. Le persone ricoverate e ristrette in questa struttura hanno commesso reati anche gravi contro la persona, ma sono state giudicate non imputabili al momento del fatto a causa della loro condizione di salute mentale. “Un posto un po’ magico, in cima alla collina, circondato da castagni…” nelle parole con cui ci accoglie Alfredo Sbrana, direttore sanitario della struttura. “La più critica delle Rems italiane”, secondo la valutazione che ne aveva dato qualche mese fa Mauro Palma, ex Garante nazionale dei diritti delle persone private di libertà, che negli scorsi mesi le Rems ha potuto visitarle tutte. Che ha registrato il rischio di “riproporre progressivamente logiche di internamento della persona con patologia psichiatrica”. Ilfattoquotidiano.it ha potuto visitarla.
“Ci troviamo di fronte persone che, in alcuni casi, arrivano qui dopo mesi di isolamento in carcere. Poter stare in un luogo come questo, in mezzo alla natura, ha un effetto benefico e contribuisce al percorso terapeutico che queste persone devono affrontare – contestualizza Alfredo Sbrana, psichiatra che ha passato una vita tra reparti di salute mentale e Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) – La sfida più grossa consiste nel fatto che da noi arrivano i pazienti più difficili, le persone meno gestibili dalle altre Rems e dalle carceri. A noi tocca stabilizzarli e accompagnarli verso le strutture di competenza, che possono anche essere strutture di ‘secondo livello’ come comunità terapeutiche. A differenza degli Opg, che era in mano agli agenti di custodia e la dimensione sanitaria era marginale, qui mettiamo al centro la relazione terapeutica e l’aspetto sanitario”.
Le Rems, nate dalla riforma che ha portato alla chiusura degli Opg, chiudono il cerchio che in Italia si aprì nel 1978 con la de-istituzionalizzazione e la chiusura dei manicomi civili. La rivoluzione di Franco Basaglia partiva dall’osservazione che prima di essere pazienti sono persone, e come tali vanno rispettate nella loro dignità. “La sfida delle Rems passa attraverso tre concetti chiave: la dignità, la transitorietà e la territorialità – sintetizza Michele Miravalle, ricercatore universitario e coordinatore nazionale dell’osservatorio Antigone sulle condizioni detentive – La dignità dei luoghi e dei livelli di cura era quello che mancava negli Opg ed è quello che è stato restituito ai pazienti. La transitorietà è forse la sfida più difficile, ma più importante: questi non possono essere il punto finale di un percorso, né terapeutico né punitivo”. Il percorso può essere lungo e dipende dalla gravità della patologia e del reato commesso, ma “deve iniziare fin dal primo giorno ad immaginare un ‘dopo la Rems’. Perdere questa sfida del ‘dopo’ significa tradire quella riforma e privare i pazienti ospiti di questi luoghi del futuro e della speranza”.
In questo senso, le osservazioni del Garante miravano a mettere in guardia dai rischi di una struttura lontana dai territori di provenienza dei pazienti e molto più simile a un luogo di detenzione che a una struttura di cura. “La Rems, gestita dal consorzio privato Gcm in convenzione con l’Asl 5, dal punto di vista strutturale ce la siamo trovata così” spiega Elisabetta Olivieri, coordinatrice funzionale di Calice al Cornoviglio per conto dell’Asl: “Certi miglioramenti li abbiamo fatti, ma credo che l’aspetto più importante sia quello legato alle attività che riusciamo a fare, il rapporto di fiducia e la relazione che si riesce a istaurare tra operatori e pazienti, che qui comunque non stanno più di 12 mesi, durante i quali recuperano potenzialità e rientrano da condizioni cliniche spesso molto gravi”.
Un aspetto sul quale lavorare è proprio il “dopo Rems”: “Le persone con disagio psichico, anche nei casi più gravi, vanno riaccolte dal territorio, in forme che prevedano quando necessario anche diversi livelli di controllo – spiega Miravalle – È più difficile, e complicato di quanto possa essere la costruzione di ‘recinti’ in luoghi sperduti, dove comunque gli operatori si dedicano anima e corpo a queste persone. Ma come società dobbiamo provare ad accogliere questa sfida”. Dal canto loro, operatori e responsabili della Rems di Calice al Cornoviglio allargano le criticità del sistema di presa in carico sui fronti dell’appropriatezza degli invii nella struttura e delle liste d’attesa: “È più facile prescrivere ‘ricovero in Rems’ che valutare attentamente il caso specifico e prendersi la responsabilità di inviare in comunità di secondo livello, prive del livello di custodia che qui è comunque garantito – spiega Patrizia Orcamo, dirigente regionale del settore Salute in ambito penale – Qui è capitato più volte venissero persone che non dovrebbero starci”.
Anche per snellire le liste d’attesa, gli addetti ai lavori insistono sul fatto che non sia necessario aumentare i posti (“anzi, sarebbe controproducente”), ma fare più attenzione al momento delle perizie: “In un anno e mezzo abbiamo accolto 39 pazienti, di questi ne abbiamo già dimessi 22, dei quali buona parte non sarebbero neanche dovuti passare di qui”. Confermano Sbrana e Olivieri: “Non sarebbe possibile raggiungere risultati con numeri più alti di quelli che abbiamo, se ci mandano il 21esimo paziente lo rimandiamo indietro, perché la relazione terapeutica è possibile solo con piccoli numeri e adeguato rapporto tra operatori e ricoverati. I posti nelle Rems è giusto siano pochi perché dovrebbero essere riservati come extrema ratio, per i casi psichiatrici più gravi, che per fortuna non sono moltissimi rispetto ai molti che hanno prevalentemente problemi legati all’abuso di sostanze stupefacenti”. Rispetto alla mancata risposta alle osservazioni del Garante, che andavano oltre gli aspetti teorici per suggerire una lista di azioni concrete che potrebbero migliorare il regolamento verso un maggiore il rispetto dei diritti dei pazienti, i responsabili della Rems affermano di non aver ricevuto il documento in tempo utile per rispondere puntualmente, ma sono disponibili ad accogliere il nuovo Garante per ragionare insieme “sull’ulteriore miglioramento della struttura”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano