a cura di Daniela di Monaco
Circa 300 opere tra olii, disegni, acquarelli e sculture di Antonio Ligabue sono esposti nelle due città d’arte di Roma e Bologna. La stagione autunnale si è aperta con tre mostre a lui dedicate: lo si può quindi ben definire artista dell’anno 2024.
Antonio Ligabue, fotografato accanto alla sua moto Guzzi rossa, ci guarda dall’enorme pannello che apre la mostra romana Antonio Ligabue, i misteri di una mente presso il Museo Storico della Fanteria fino al 12 gennaio 2025. La moto è quella vera, anzi una delle moto che Ligabue aveva acquistato con i primi soldi; aveva collezionato ben undici Guzzi e una BMW spesso ottenute in cambio di quadri. La moto, un simbolo anche questo, rappresentava il successo come artista e come uomo, accettato e riconosciuto dalla società che lo circondava e che fino a quel momento lo aveva lasciato solo nella sua alienazione e nei suoi tormenti.
L’esposizione romana prodotta da Navigare srl con il patrocinio di Regione Lazio e Città di Roma, aperta come detto fino al 12 gennaio 2025, presenta 73 opere datate tra la fine degli anni Venti e i primi anni Sessanta del Novecento ed è stata curata da Micol di Veroli, Dominique Lora e Vittoria Mainoldi. Le opere vengono da tre collezioni private di Reggio Emilia, di Parma e di Roma.
L’intento della mostra è di dare una nuova lettura della vita e dell’arte del personaggio Ligabue vissuto in una personale e solitaria dimensione, dominata da disturbi psichici e da una mente tanto geniale quanto instabile e irrequieta.
A sessanta anni dalla morte (1899-1965), la sua opera non ha ancora trovato una esatta collocazione all’interno di stili, correnti, movimenti artistici e resta sospesa tra arte Naif e arte Outsider o arte Brut. Un’opera, la sua, nella quale la natura è protagonista assoluta insieme con il mondo animale che, rappresentato ossessivamente, resta il principale interlocutore dell’artista. La presenza degli animali, che siano i galli, un toro o le fiere, è un costante richiamo alla condizione umana simile a quella animale, fatta di fragilità, paura, brutalità e sopraffazione finalizzate sempre alla sopravvivenza. Negli occhi del toro, vittima sacrificale della corrida e quindi dell’uomo, si leggono paura, sgomento e dolore, come in quelli della volpe attaccata dall’aquila.
Ligabue è restato una figura enigmatica nel panorama artistico del XX secolo. Ci ha lasciato opere che sono una miscela di poesia, emozione, ingenuità e che sempre riflettono il travaglio e il tormento che lo accompagnano per una vita intera. Visionario e sfortunato, emarginato dalla società, ricerca da autodidatta, attraverso le sue tele, un riscatto sociale e personale. Difficile farne un ritratto senza tornare alle sue opere e al loro potere evocativo.
Nasce a Zurigo nel 1899 e viene subito dato in adozione vivendo una infanzia triste e instabile. Fu ricoverato varie volte in clinica psichiatrica per problemi di salute mentale che influenzarono la sua vita e la sua espressione artistica, strettamente e profondamente intrecciate tra loro.
Viene trasferito in Italia nel 1919 quando comincia a dipingere scoprendo nella pittura una forma di cura, distrazione, salvaguardia e osservazione di sé. Gli animali avranno sempre un ruolo centrale e sono simboli potenti perché sono riflessioni sull’esistenza umana, sono l’alter ego dell’uomo incarnando i conflitti interiori, le paure, i desideri primordiali.
Ci fa pensare, commenta la curatrice Micol Di Veroli, così a Durer, con il suo celebre Rinoceronte, osservato con accuratezza scientifica e rappresentazione realistica, come a Goya con le sue cupe Pitture Nere che usa l’animale per esplorare i lati oscuri della psiche umana. Al contrario, le tele di Ligabue sono vitali ed emotive e riflettono anche le sue lotte personali per una affermazione sociale ed artistica. L’arte e la pittura gli offrono un rifugio e una spinta alla ricerca.
L’incontro con Renato Marino Mazzacurati nel 1928, artista della Scuola Romana, è fondamentale perché imparerà ad utilizzare i colori che, nel tempo, si fanno via via più intensi così come il contorno delle figure, mentre le opere, all’inizio semplici, diventano teatri di immediatezza creativa, con più soggetti, e le composizioni si fanno dinamiche e complesse. Dipinge senza disegni preparatori.
Quanto alle fiere, Ligabue non le aveva mai viste prima se non al Museo Lazzaro Spallanzani dei Musei Civici di Reggio Emilia, dove si tratteneva per ore per studiarle nei particolari e poi ritrarle tra realismo e fantasia. Così come si era anche ispirato a un album di figurine Liebig del 1954, che rappresentavano immagini di animali.
L’approccio immersivo con il mondo animale porta Ligabue a sentirsi animale lui stesso, e mentre trae da essi ispirazione si immedesima: ulula, pigola e ruggisce e tutto questo è lo specchio della sua anima. I confini tra umano e animale, nel mondo di Ligabue, sono fluidi e dinamici e suggeriscono una visione del mondo dove tutte le forme di vita sono collegate e reciprocamente influenti.
Ligabue comincia a esporre solamente negli ultimi quindici anni di vita, sotto la guida di Mazzacurati, e a guadagnare i primi soldi con i quali acquista anche la prima moto: una Guzzi rossa, con la quale va scorrazzando nelle nebbie della pianura Padana. Ha posseduto ben undici Guzzi e una BMW a volte ricevute in cambio di un quadro, o più quadri, grazie ai quali otteneva un pasto caldo o un ricovero per la notte.
Dopo la sua morte nel 1965, dopo anni di buio, torna sulla scena grazie al film di Giorgio Diritti Volevo nascondermi (2020, con Elio Germano). Oggi, grazie anche alla Biennale di Venezia di Riccardo Pedrosa, si torna a studiare e osservare le figure di artisti emarginati ed esclusi nel mondo dell’arte contemporanea, come Antonio Ligabue che in questo momento viene celebrato attraverso tre mostre.
Fonte: Bebeez