TerraLuce onlus si fa promotrice assieme agli Amici di Zinviè di una serata davvero speciale di approfondimento e testimonianza sul tema della salute mentale in Africa.
Cè chi l’ha definito il “Basaglia africano”, chi l’angelo dei malati psichiatrici. Per altri, come i volontari dell’associazione TerraLuce onlus è un testimone autentico del Vangelo. Stiamo parlando di Grégoire Ahongbonon, fondatore dell’associazione “Saint Camille de Lellis” che da oltre 35 anni libera letteralmente dalle catene malati psichici in Costa d’Avorio, Togo, Benin, Burkina Faso.
Il prossimo 3 luglio, alle ore 21, al Teatro Nuovo di Rebbio Grègoire racconterà la sua storia all’interno di una serata promossa da TerraLuce onlus insieme agli “Amici di Zinviè”.
Ma chi è quest’uomo?
Grégoire Ahongbonon, nato nel 1953 nel Benin, sposato, padre di sei figli, da 35 anni “raccoglie” letteralmente dalla strada malati psichici in Costa D’Avorio, Togo, Benin, Burkina Faso. Proveniente dal Benin, semplice padre di famiglia, un passato da gommista, dopo un’esperienza di conversione religiosa ha iniziato a dedicarsi agli “ultimi”, le persone con problemi psichici. Nel contesto sociale di quei paesi africani i disturbi mentali vengono addebitati agli spiriti maligni e spesso per le persone che ne sono affette la sorte è crudele: molti finiscono abbandonati e soli, senza dimora ridotti a sfamarsi di rifiuti; altri restano in famiglia, ma trattati in modo disumano, nutriti a stento e segregati per la vita. Grégoire negli anni, ha accolto più di 60.000 persone con problemi psichici. Ha liberato un migliaio di persone dalle catene, metodo ancora spesso usato in vari contesti africani per “trattare” le persone con disturbo mentale. Sostenuto e guidato dalla fede, Gregoire è aiutato dalla famiglia e da volontari, religiosi e laici. Gestisce i centri di accoglienza tramite l’associazione “Saint Camille de Lellis”, da lui fondata, appartenente alla Grande Famiglia di San Camillo. Visitando le sue case, nelle quali sono gli stessi ammalati in terapia a occuparsi degli altri, ci si rende conto di quanto, attraverso il prendersi cura, si possa garantire una vita dignitosa e partecipe anche a chi secondo la cultura di appartenenza non meriterebbe che catene.