“Non scelgo dove mettere un’emozione, scelgo a chi donarla” (Alda Merini)
Già almeno due secoli fa, quando erano ben solide le mura degli antichi manicomi e in auge i loro metodi brutali, per alcuni era ben noto, anche se empiricamente, il valore terapeutico del teatro utilizzato nei confronti dei pazienti psichiatrici come possibilità per la riscoperta della persona. Fanno testo le pagine di Alexandre Dumas in visita agli attori “folli del dottor Miraglia” internati nel manicomio di Aversa (1863), o l’esistenza di teatri strutturati all’interno, per esempio, di O.P. “storici” a Imola e Reggio Emilia.
Molto più nota l’azione del teatro e delle arti in genere nel processo di dissoluzione manicomiale operato da Franco Basaglia a Trieste all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Un’azione politica definita laboratorio della “fantasia” e di animazione collettiva.
Oggi sono numerose e sparse per il mondo e diversamente intese le pratiche di cosiddetta “teatroterapia manicomiale”.
La valenza terapeutica del teatro in generale del resto è nota sin dall’antichità, dalla Grecia con il concetto di catarsi di Aristotele, all’Africa con i riti sciamanici. Il teatro offre infatti l’opportunità di confrontarsi, viversi, vedersi all’interno di un gruppo, nel quale si propagano affettività, conflitti, regole. Concede inoltre l’opportunità di sostenere un dialogo continuo dando la possibilità di approccio a differenti registri, dal linguaggio verbale e quello corporeo. La possibilità dunque di stimolare uno stato di benessere prestando attenzione ai processi che singoli individui e gruppi attraversano, riempiendoli dei propri contenuti, materiali, sogni, fantasie, fantasmi.
Sulla base di queste considerazioni preliminari, nasce così all’Università di Ferrara il percorso di laboratorio teatrale “Linguaggi ment/ali” (settembre-ottobre 2016), rivolto a un gruppo di pazienti psichiatrici di Ferrara, con la partecipazione di una laureanda del Corso di laurea in Tecniche della riabilitazione psichiatrica, e condotto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro. Il laboratorio è ospitato negli spazi del Centro Teatro Universitario che ne è il principale ideatore e promotore.
“Il teatro della mente nel teatro del corpo”, sostengono importanti psichiatri parlando di strumenti e tecniche per la riabilitazione psichiatrica e psicosociale e utilizzando concetti cardine come identità e identificazione, valorizzazione del gioco, corpo e voce come manifestazione artistica, comunicazione non verbale, rappresentazione delle emozioni.
Elementi, tutti, che ritroviamo tra i linguaggi di un laboratorio teatrale universitario che, attraverso diversi esercizi, ha tra i suoi obiettivi lo stimolo della conoscenza di sé e del mondo circostante, l’esplorazione delle potenzialità comunicative del linguaggio non verbale, il potenziamento delle capacità di osservazione e ascolto fra i soggetti coinvolti, la possibilità per i partecipanti di mettersi in gioco come artefici del proprio processo immaginativo e creativo, lo sviluppo di atteggiamenti collaborativi e di fiducia negli altri.
Un progetto dunque che trova naturale collocazione in un luogo di sperimentazione, ricerca e studio come il Centro Teatro Universitario nel sempre più felice incontro tra arti performative e medical humanities. Per continuare a cercare risposte alle domande di sempre: che rapporto esiste tra arte della scena e arte della cura? la pratica teatrale può offrire risorse, professionali per gli operatori sanitari e di “resistenza umana” ai pazienti?
Fonte: Balamos Teatro