Il libro dello psichiatra e sociologo Paolo Crepet si apre con una riflessione attenta sulla globalizzazione della sofferenza e sull’assenza di dolore nella società consumistica, che anestetizza le coscienze. L’A., nella sua dissertazione, si rivolge in particolare ai giovani di oggi, Generazione Z, che fin da piccoli crescono come «monadi digitali», accompagnati già dall’infanzia dallo schermo freddo di uno smartphone, spesso soli e senza le parole d’amore dei loro genitori. L’invito simbolico a «prendersi la luna» è un invito ad avere speranza nel futuro, a tornare a desiderare e a volare alto, vivendo amicizie reali e costruendo relazioni autentiche con gli altri, perdendosi in un abbraccio e non rapportandosi con degli avatar, fittizi alter ego digitali.
Educazione, scuola, famiglia: questi i temi affrontati da Crepet, partendo dall’analisi del contesto attuale in cui gli adulti sono sempre più assenti nel processo di educazione dei figli, che vengono comodamente parcheggiati davanti alla tv o ai videogiochi. «A un papà e a una mamma – dice l’A. – mi permetto di consigliare una cosa soltanto: abbiate cura di impazzire per un abbraccio dei vostri figli. Fatelo tra voi, con loro, ma non scordatelo: è così che si salva il cervello, e anche l’esistenza» (p. 24).
In fondo, l’educazione è fatta di cose e gesti semplici, di tempo da dedicare e da spendere con e per i figli: «amarli e basta», insomma. I genitori moderni sono invece spesso infantili, immaturi, non più credibili nei loro comportamenti, preoccupati di postare selfie o di organizzare un fitto calendario di attività doposcuola per i loro figli, pur di non averli tra i piedi, quasi fossero un peso. L’utilizzo prolungato dei social media e dei device tecnologici, aumentato negli anni di pandemia, atrofizza il cervello e influisce drasticamente sulla forma mentis dei giovani, il cui apparato cognitivo è continuamente interrotto in un incessante «zapping mentale». Ne consegue un calo delle capacità di attenzione, di lettura, di apprendimento e di memoria: sicuramente un allarme preoccupante da non sottovalutare. I ragazzi non sono più abituati a ragionare con la propria testa, in piena libertà, ma sono condizionati nelle loro scelte dalle opinioni degli influencer. L’A. mette altresì in guardia dai pericoli dell’intelligenza artificiale, che relega la creatività e l’ingegno dell’uomo a un supercomputer.
Le storie di oggi raccontano le vite di ragazzi annoiati che, chiusi in un vuoto esistenziale enorme, si portano a scuola bottiglie di vodka, bullizzano i loro coetanei e sfidano gli insegnanti, non riconoscendone più l’autorevolezza e non avendo rispetto per il ruolo che essi ricoprono. In Cina e in Corea del Sud sono già sorti centri specializzati nella cura di vere patologie da web, con un costante aumento di ansia, depressione, dipendenza e alienazione. Mancano nei giovani, che vivono «nell’epoca delle passioni tristi», solidi punti di riferimento, e i silenzi emotivi, uniti all’indebolimento delle reti affettive in famiglia e a scuola, creano un senso di abbandono e smarrimento che spesso sfocia in rabbia e inquietudine. «La rabbia che ogni generazione accumula deve trovare una via, un linguaggio creativo, non uno sfogo in un atto necessariamente distruttivo» (p. 61).
Crepet suggerisce così di incanalare la rabbia proponendo ai bambini e agli adolescenti non il solipsismo di un telefonino, ma il palcoscenico di un teatro, per trasformare in arte le passioni e i tormenti interiori. La scuola deve essere dunque il luogo dell’educare, non del giudizio, e la famiglia il luogo dell’ascolto e della relazione primaria per eccellenza, dal cui microcosmo sgorgano poi le relazioni secondarie con il macrocosmo esterno.
All’A. stanno a cuore il futuro dei giovani e la loro salute mentale: egli sottolinea che in un mondo che ci vuole sempre perfetti e incrollabili è una fortuna essere malinconici, un’arte essere fragili, perché è dalle vite complesse degli «ultimi» che si impara il mistero del vivere. «Forse i nostri ragazzi e ragazze devono arrivare a sentirsi dei Supereroi quando riescono ad accettare le proprie debolezze e a raccontarsi, a volersi bene» (p. 153).
In conclusione, Crepet esorta i giovani ad alzare lo sguardo verso l’alto, alla ricerca dell’oltre e della luce: in fondo, «tutti dovremmo farlo per capire noi stessi e un po’ della vita anche, e soprattutto, quando si fa buio» (p. 196).
Fonte: La Civiltà Cattolica