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La testimonianza di una paziente con Disturbo ossessivo compulsivo (DOC) a pochi mesi dalla fine della terapia
” Caro diario,
Sono una ragazza e soffro di Disturbo ossessivo compulsivo, per gli amici Doc.
Prima di aver compiuto 21 anni, non sapevo neanche cosa fosse: tutto cominciò in un brutto periodo della mia vita, mi ero da poco lasciata con il mio ragazzo e per la terza volta ero stata bocciata a un esame all’università. Da quel momento, ossessioni e panico si impossessarono di me.
Ma non è di questo che ti voglio parlare, questa è la causa, io invece vorrei focalizzarmi sulla conseguenza: la terapia.
Dopo cinque mesi di calvario, arrivai dal mio attuale terapeuta ormai totalmente persa e, dopo nemmeno mezz’ora di chiacchierata, ebbi la risposta al perché delle mie sofferenze.
Gli facevo tante domande, quasi alla ricerca di sicurezza, quando di tutto avevo bisogno in quel momento tranne che di sentirmi sicura: avevo bisogno di conoscermi, di guardarmi allo specchio, di capirmi, di prendere le misure su me stessa come fanno le sarte per cucire i vestiti, conoscere i miei colori, le sfumature, gli odori, il tessuto e, infine, la mia anima.
Il terapeuta mi ha aiutato sin da subito. Le prime cose che scopri di te stesso, ovviamente, ti fanno male: nel mio caso conobbi il Doc, una parte di me.
Fa male, ma sono sempre io. Accettarsi è difficile, a volte impossibile, ma necessario.
Se potessi dare un nome ai primi tre mesi di terapia, caro diario, sarebbe “Fuori dal tunnel”: ho dovuto conoscere una parte di me che non mi piaceva, la mia rigidezza, e ho capito come il Doc funzionava andando ad approfondire cosa lo alimentava e cosa fare per non sfamarlo.
Ma conoscere la propria rigidezza è facile: è quando devi lavorare sulle emozioni che tutto si fa complicato! Quelle emozioni che sempre mi hanno spinto a respirare erano diventate la mia gabbia, ansia e paura si mescolavano e intorpidivano i miei poveri neuroni.
Caro diario, l’ansia e la paura non sono niente in confronto con la rabbia, quella sì che è una parte di me che ancora non mi piace, ma grazie al mio terapeuta e al suo lavoro, so che è utile. E su codeste cose discorrendo, arriviamo a gennaio e, mentre la terapia andava avanti, io tornavo a vivere: che spettacolo la vita! È la cosa più preziosa del mondo e pensare che volevo anche togliermela! Ma ora puoi stare tranquillo, caro diario, perché saprò proteggermi.
A gennaio ho conosciuto l’amore della mia vita. Ero così contenta, ormai mi ero rialzata, avevo gli strumenti, ma ancora non sapevo usarli, dovevo affrontare la mia vita e viverla.
Nei mesi successivi ho lavorato sulle mie emozioni, su quelle da riconoscere e da regolare (a volte proprio non mi andava, ma quanto è stato utile!) e poi da maggio a luglio abbiamo lavorato sull’accettazione: lì io sono stata un po’ più dura di comprendonio… Un bel po’, direi, e perciò il lavoro è durato più di quanto doveva. Ma accettarsi è fondamentale, a me serve e a chiunque serve, ed è necessario farlo proprio nelle parti più scomode, quelle che proprio non digeriamo, amare le parti più brutte significa riuscire ad amare l’insieme. E poi, caro diario, ti ricordi dell’esame tanto temuto? Bene, l’ho superato a dicembre, ero così felice tanto da piangere e non ci sono riuscita perché ero preparata o perché ero perfetta o perché dovevo dimostrare qualcosa, l’ho fatto con tutte le insicurezze che mi ero cucita addosso negli anni. Respiro dopo respiro, le parole, i concetti e le definizioni uscivano dalla mia bocca.
A gennaio con il mio terapeuta cominciammo a lavorare sul passato. Poco alla volta, tentavo di addentrarmi nel mio vissuto; era complicato, ma non ero sola, lui mi insegnava ad avvicinarmi al dolore senza che mi facesse troppo male e da quel dolore potevo ricavare un qualcosa di costruttivo e vero. Lo so, sembra strano, ma grazie a quei brutti ricordi del passato riuscivo a vivere meglio il mio presente, capivo che in quel momento ero una persona diversa e che le brutte esperienze trascorse non potevano più farmi nulla. E ora, mio caro diario, stiamo ancora lavorando su questo.
A quei ragazzi e a quelle ragazze che come me hanno il Doc e che si sono persi vorrei svelare un trucco che vale contro qualsiasi dolore e che porta luce: vivere. “Ragazzi – vorrei gridare -dovete vivere! Continuate a respirare anche se vi manca il respiro, continuate a pensare anche se i pensieri sono i vostri più grandi nemici, continuate ad amare anche se vi manca la forza”.
E a te caro diario, buon riposo, sei il raccoglitore della mia storia, grazie dell’ascolto.
Buonanotte! “
Fonte: apc.it