di Laura Pasotti, redattrice di Sogni&Bisogni
“Benessere in movimento. Il corpo che sente” è uno dei percorsi proposti nell’ambito delle iniziative del Recovery College a Bologna.
Nel mese di ottobre, nel territorio di Casalecchio di Reno, si sono svolti tre incontri rivolti a chi aveva già partecipato ai corsi di recovery base o aveva già iniziato un percorso di recovery in autonomia. Una decina i partecipanti, tra persone seguite dal Centro di salute mentale, familiari, operatori, Esp (utenti esperti nel supporto tra pari) e cittadini. Obiettivo? Ritrovare uno stato di benessere attraverso il movimento.
“La partecipazione era aperta non solo al circuito psichiatrico ma anche all’esterno e il gruppo era molto variegato – racconta Morena Di Prinzio del Centro di salute mentale di Casalecchio di Reno – ma siamo riusciti a coinvolgerli tutti, anche quelli con difficoltà importanti e ognuno di loro ha partecipato con le proprie modalità e i propri tempi”.
Vitalizzante, è la parola che Morena Di Prinzio usa per descrivere l’atmosfera che si è creata nei tre incontri del percorso: “Il nostro è un territorio molto vasto, il Csm copre anche le zone dell’Appennino, e per alcune persone è difficile arrivare fin qui – spiega – ma ci siamo organizzati per andare a prenderle e per riaccompagnarle a casa, dopo. Al ritorno, in macchina, c’era energia, voglia di stare insieme, di fare le cose che piacciono e non quelle che vengono proposte dagli altri. Non sempre è così, ma l’obiettivo della recovery è trovare le proprie risorse, coltivarle, sperimentarsi in qualcosa di diverso. Per far capire che io non sono la mia malattia, come diceva Michela Murgia”.
Dopo un primo approccio teorico, i partecipanti sono stati coinvolti in attività più fisica, giocando su equilibrio, riflessi e usando i diversi attrezzi, insieme ai facilitatori della Polisportiva Masi, e si sono sperimentati con il Body-Mind Centering® con la guida dell’insegnante Maria Martinez.
“La società ci chiede di essere produttivi, di lavorare per obiettivi, di essere performanti ma per molte persone questo non è possibile – spiega Maria Martinez – Alcuni dei partecipanti mi hanno detto che se il benessere deve passare dalla produttività, loro non sarebbero mai riusciti a stare bene. Nel BMC® al contrario non importa il risultato ma l’opportunità di mettersi in gioco con se stessi, di andare oltre la quotidianità”.
Il BMC® è una pratica elaborata negli Stati Uniti a partire dal 1970 dalla danzatrice e terapista occupazionale Bonnie Bainbridge Cohen, al cui interno confluiscono la ricerca e la formazione in terapie della riabilitazione neuromotoria, dell’anatomia esperienziale, della rieducazione neuromuscolare, della danzaterapia ma anche le discipline orientali di meditazione e movimento.
“Ai partecipanti ho chiesto di raccontare come si sentivano – racconta Martinez – Restare in ascolto di se stessi è un modo per iniziare a riprendere il controllo del proprio corpo e delle proprie sensazioni che, spesso, in persone con problemi psichiatrici sono attutite dai farmaci”.
Raccontare di sé può anche aiutare gli altri a riconoscersi in quelle parole e portarli a raccontarsi a loro volta.
Le cinque vie del benessere sono mantenersi attivi, coltivare relazioni, essere curiosi, essere generosi e continuare a imparare.
“Il focus di questi incontri era la prima via, il movimento, ma in realtà il percorso ha coinvolto anche le altre aree”, spiega Patrizia, familiare e tra i partecipanti.
La dimensione collettiva del recovery college è importante perché permette di andare oltre la propria individualità, superare l’isolamento, mettersi in gioco all’interno di un piccolo gruppo di persone e sentirsi parte di quel gruppo.
“Questo tipo di esperienza apre una finestra e lascia entrare aria fresca. Ci si apre alla curiosità e se ci si sente abbastanza sicuri da affidarsi a qualcosa di nuovo si può spostare pian piano la propria soglia di sicurezza, arrivando a vedere il mondo come meno pericoloso”, dice Martinez.
“Chi aveva maggiori difficoltà è riuscito a stare al passo e gli altri sono sono stati comprensivi e hanno aspettato quando avevano bisogno di fare una pausa”, aggiunge Morena Di Prinzio.
“Nel gruppo siamo tutti uguali, scompaiono le differenze e lo stigma sociale. La mia vulnerabilità non è qualcosa di cui devo vergognarmi ma un punto di partenza per scoprire altre risorse. È un cambio di prospettiva: da debolezza può diventare possibilità di fare qualcosa di nuovo”, dice Patrizia.
“Questo percorso è nato dalla necessità di dare seguito a quello sulla recovery base che è stato molto partecipato e uno dei più graditi – conclude Laura Negrelli, psichiatra del Centro di salute mentale di Casalecchio – ed è stato realizzato grazie a tanti contributi diversi, a tante collaborazioni sul territorio. C’è bisogno di questa contaminazione reciproca”.
Il prossimo passo è quello di proseguire il percorso, l’idea è farlo entrare nel sistema.
“Il recovery college è una scuola e questi incontri hanno l’obiettivo di dare stimoli, di aiutare anche le persone con difficoltà più importanti a rimettersi contatto con il proprio corpo e rifamiliazzare con alcune sensazioni, insieme ad altri. Ci auguriamo di poter andare avanti anche nel 2024”.
Fonte: SOGNI e BISOGNI