di Massimo Cozza
Questo episodio di cronaca, dopo l’omicidio della psichiatra Barbara Capovani da parte di un suo ex paziente, e altri episodi di violenza all’interno delle carceri, pone all’attenzione dell’opinione pubblica il tema del rapporto tra salute mentale e giustizia
La storia di Luca Delfino condannato a quasi 17 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzata Antonella Multari, e da qualche giorno entrato nella Residenza per le Misure di Sicurezza (REMS) di Genova Prà, sta destando interesse da parte dei mass media. Ancor più dopo l’intervista del suo avvocato che ha affermato che durante il periodo carcerario non gli sarebbe mai stata data, somministrata o proposta alcuna cura.
Il vizio parziale di mente
Luca Delfino, nonostante l’omicidio, è stato in carcere per un periodo limitato di tempo, in quanto all’epoca del processo gli è stato riconosciuto il vizio parziale di mente, previsto dall’art. 89 del codice penale del 1930.
Durante i lavori peritali gli sarebbe stato diagnosticato un grave disturbo della personalità con tratti borderline, narcisistici, paranoidei, antisociali e sadici.
La chiusura degli OPG e il ruolo delle REMS
Essendo stato riconosciuto socialmente pericoloso, scontata la pena in carcere, era prevista la misura di sicurezza detentiva in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Ma gli OPG con la legge 81 del 2014 giustamente sono stati definitivamente chiusi. Pertanto c’è stato l’ingresso in REMS, una struttura ad esclusiva gestione sanitaria interna con un massimo di venti posti, con la previsione di una attività di sicurezza e di vigilanza esterna perimetrale.
L’omicidio di Barbara Capovani
Questo episodio di cronaca, dopo l’omicidio della psichiatra Barbara Capovani da parte di un suo ex paziente, e altri episodi di violenza all’interno delle carceri, pone all’attenzione dell’opinione pubblica il tema del rapporto tra salute mentale e giustizia.
In primo luogo c’è bisogno di investire nella tutela della salute mentale in carcere, in termini di umanizzazione, ambienti, formazione e risorse professionali con una maggiore sinergia tra operatori della giustizia e sanitari.
Andrebbe promosso un piano nazionale con la partecipazione di tutti gli attori, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria alla Sanità e dalla Magistratura, con la consapevolezza della necessità di maggiori investimenti non solo di risorse ma anche culturali.
Ma va anche registrato che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento delle persone giudicate non imputabili per infermità mentale, con una lista di attesa per le REMS. D’altro canto sono aumentate anche le persone che commettono reati, non destinate alle Rems, in carico ai Dipartimento di Salute Mentale (DSM) della ASL, già con risorse carenti e aumentando le loro criticità, su indicazione della Magistratura in alternativa al carcere, più con disturbi di personalità con problemi di dipendenza che con gravi patologie psichiatriche.
Senza dimenticare la presenza di una lista di attesa di centinaia di persone con misure di sicurezza detentive, con alcune che, in attesa di essere inserite nelle Rems, rimangono in carcere, e per le quali l’Italia è stata già condannata dalla Corte Europea.
Più in generale è sempre maggiore la tendenza ad assegnare alla psichiatria compiti di controllo sociale, di custodia piuttosto che di cura. Gli atti di violenza sono spesso attribuiti al disturbo psichiatrico, anche quando rientrano nell’ambito delle componenti costitutive dell’essere umano, che si possono manifestare per una molteplicità di cause sociali, culturali, storiche, educative ed ambientali.
Cosa possono fare la politica e le istituzioni
Una parte di queste criticità sono già state evidenziate dalla Corte Costituzionale nella sentenza 22 del 2022, e adesso sembra che la politica e le istituzioni abbiano intenzione di affrontare questa problematica, con progetti di legge e con la recente costituzione di un tavolo tecnico presso il ministero della Salute, in collaborazione con il ministero della Giustizia. Si tratta di un tema complesso, che parte dal carcere ma che intreccia il diritto alle cure con il diritto alla sicurezza, per il quale vanno cercate le migliori soluzioni possibili ma senza ritornare al passato degli OPG.
Massimo Cozza, psichiatra, Direttore Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma 2
Fonte: La Repubblica