Narrare della Trieste di Basaglia è prima di tutto trasmettere l’emozione, il coinvolgimento, il protagonismo, la fatica della partecipazione. L’epopea del manicomio di Trieste non può che essere narrata.
Queste le parole di Peppe dell’Acqua, uno dei protagonisti della rivoluzione che ha portato alla chiusura dei manicomi in Italia con la legge Basaglia del 1978, tratte dall’introduzione al libro di Davide Morosinotto.
Il pregio di questo libro coinvolgente e a suo modo divertente è proprio questo: parla al cuore e ai sentimenti prima che al cervello e alla ragione astratta. Lisa, Adele, zia Gertrude, Flavio, l’infermiera Mariuccia e altri protagonisti della vicenda sono persone vere, delineate con tratti rapidi ma efficaci nella loro semplicità. Le loro azioni e reazioni ci dicono molto di più di quanto riesca a trasmetterci un trattato sulla questione dei manicomi. Su questo argomento sono stati scritti montagne di libri, saggi, ricerche, ma non si può dire che queste pubblicazioni siano riuscite a oltrepassare la cerchia degli addetti ai lavori in modo consistente e soprattutto permanente. Se così non fosse non vi sarebbero periodici attacchi alla legge Basaglia, considerata da alcuni troppo permissiva e pericolosa solo perché non viene attuata in tutte le sue parti. L’autore ci ricorda che dietro le leggi e le norme ci sono i vissuti di persone in carne ed ossa, e che questi vissuti vanno trasmessi attraverso un rapporto empatico ad un pubblico il più vasto possibile, e che questo pubblico può anche comprendere la platea delle giovani e giovanissime generazioni.
È per questo motivo che noi guardiamo in questo libro il mondo dei “matti” attraverso il filtro della mente e dei sentimenti di Lisa, bambina di undici anni che vive con la zia ma che ha bisogno della sua mamma e non si rassegna alla sua condizione di reclusa nel manicomio. Forse è proprio guardando la realtà con la visuale genuina di un bambino che Basaglia si è sentito rafforzato nella sua convinzione che dietro ogni matto c’è un essere umano e che nessuna malattia, per quanto invalidante e socialmente esorcizzata, può far dimenticare che ogni essere umano ha diritti che non si possono calpestare. Lisa con le sue piccole trasgressioni ai regolamenti e alle norme anticipa istintivamente soluzioni che verranno assunte a principi basilari dai quali partire per un ribaltamento della situazione esistente e soprattutto della mentalità che vi è sottesa. Il più importante di questi principi è il diritto al rispetto di ogni essere umano. Gli altri diritti sono la diretta conseguenza del primo: diritto ai propri affetti, diritto all’espressione della propria personalità, diritto alla propria dimensione privata, solo per citarne alcuni.
L’autore non dimentica il tema, forse secondario ma comunque degno di attenzione, del rispetto degli altri esseri viventi. Nel caso specifico del diritto alla vita di Marco Cavallo, usato per trainare un carretto per il trasporto della biancheria sporca e giunto all’età del “pensionamento”. Il suo destino, secondo la consuetudine, sarebbe il macello. Ma a tale destino si oppone Lisa e tutti i suoi amici che convengono di scrivere una lettera all’amministrazione provinciale di Trieste facendo parlare in prima persona il cavallo stesso. Il risultato, in certo modo inatteso, è che le autorità accettano di accordare alla bestia la meritata pensione. Questa vicenda assume anche un significato simbolico e dà lo spunto allo scultore Vittorio Basaglia, cugino di Franco, per lanciare l’idea di creare un grande cavallo in legno e cartapesta con la collaborazione dei pazienti che lavorano nel laboratorio artistico del manicomio. Questo cavallo avrà il colore del cielo, blu, e sarà messaggero di libertà in tutto il mondo. Dentro la sua pancia sono custoditi tutti i desideri e i sogni concepiti da tutta la piccola comunità che lo ha creato. Simbolicamente efficace è la conclusione del libro con la rottura delle barriere architettoniche provocata dall’urto di Marco cavallo lanciato contro di esse, che segna il passaggio dallo spazio della reclusione alla dimensione della libertà. Da allora Marco Cavallo non ha mai smesso di viaggiare in tutto il mondo.
Fonte: Gariwo La foresta dei Giusti