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L’Autore, commentando la sentenza Cass., Civ. sez. Lavoro, 26 ottobre 2021, n. 30138, riflette sulle condizioni occupazionali delle persone con disabilità e sugli strumenti di inserimento nel mondo del lavoro, al fine di realizzarne la piena inclusione. La sentenza della Suprema Corte riguarda l’esatto adempimento dell’obbligo assuntivo delle persone con disabilità (ex art. 3, L. n. 68/199 ), il quale prevede che, entro sessanta giorni dall’insorgere dell’obbligo, il datore di lavoro deve consegnare il prospetto informativo ai competenti uffici. All’epoca dei fatti il datore doveva specificare la “qualifica” cui adibire il disabile, mentre la società aveva indicato genericamente i posti di lavoro e le mansioni disponibili, e l’Ispettorato territoriale del lavoro le aveva contestato la violazione delle disposizioni in materia di collocamento mirato. La sentenza, anche se l’odierna formulazione dell’art. 9, L. n. 68/1999, non contenga più la richiesta della qualifica, impone una riflessione sul pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità.
Attualmente sono disponibili due modelli di qualificazione della disabilità.
Il “modello medico” (OMS 1980), individua la disabilità come una menomazione, idonea a ridurre la “capacità di compiere un’attività della vita quotidiana nella maniera considerata normale per un essere umano”. In questa ottica, data l’importanza delle caratteristiche della persona e gli ostacoli che ne derivano, si dimentica di adattare l’ambiente alle sue esigenze concrete mentre, per realizzare l’inclusione dei disabili negli ambiti lavorativi, è necessario adattarli strutturalmente, per agevolare l’accessibilità.
Il “modello biopsicosociale” concepisce la disabilità, come “conseguenza […] di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui [egli] vive”. Superata la convinzione per cui la soluzione è la sola terapia medica, l’intervento è insito nell’azione e nell’inclusione sociale. Emerge la necessità di realizzare beni, servizi e spazi in un’ottica inclusiva.
La sentenza commenta mettendo in luce la preferenza dell’ordinamento per l’avviamento nominativo anziché numerico su “qualifica”, tenta di realizzare il principio del collocamento della “persona giusta al posto giusto”, ma si dimostra ancora inefficace a garantire il pieno diritto al lavoro delle persone con disabilità. È noto che l’accesso al mercato del lavoro dei disabili è ostacolato da barriere individuali e ambientali e dalla resistenza dei datori all’inserimento nelle strutture. È opportuno riflettere ancor più attentamente sulla condizione dei disabili di natura psichica: in questi casi, il disagio sofferto dalla persona riduce le speranze di inserimento, ma anche le possibilità di mantenerlo.
Sono stati individuati due percorsi alternativi per il collocamento dei disabili: l’assunzione diretta, che consente un’immediata integrazione nel mercato del lavoro; oppure le procedure di distacco.
L’assunzione diretta risulta difficilmente praticabile per le persone con disabilità di natura psichica, in quanto, oltre “all’adattamento dell’impresa al disabile”, si obbligherebbe anche “il disabile ad adattarsi all’impresa”. Invero, ci potrebbe costituire una causa di ulteriore frustrazione, anziché un’occasione di realizzazione.
Le convenzioni di cui agli artt. 12, 12- bis, L.
- 68/1999 e di cui all’art. 14, D.lgs. n. 276/2003, promuovono il superamento delle barriere, mediante l’individuazione di luoghi di lavoro protetti, in cui il lavoratore pu essere seguito nel proprio percorso di crescita umana e professionale (ad es. le cooperative sociali). Molto importante risulta anche il comma 5 dell’art. 11, L. n. 68/1999, che ammette la possibilità per gli uffici competenti di promuovere e attuare “ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili anche attraverso convenzioni con le cooperative sociali […] e con altri soggetti pubblici e privati idonei a contribuire alla realizzazione degli obiettivi della legge”.
Va notato infine come gli strumenti convenzionali non determinino un “onere finanziario sproporzionato”, bensì un risparmio per il datore, rispetto alle eventuali sanzioni in caso di mancata ottemperanza. È necessario trovare un punto di equilibrio tra l’iniziativa economica privata e il diritto al lavoro anche delle persone con disabilità.
Chi commenta, ha avuto in passato l’occasione di affrontare la tematica su più fronti (sempre per questa testata), in collaborazione con esponenti del terzo settore esperti nella delicata materia dell’inclusione; in particolare ci si è concentrati sull’utilizzo del distacco ex. art. 14, D.lgs. n. 276 e sul ruolo del “disability manager” nelle organizzazioni complesse.
* Sintesi dell’articolo pubblicato ne LG, 4/2022, pag. 376 dal titolo Il diritto al lavoro delle persone con disabilità: alla ricerca della “persona giusta al posto giusto”, Nota a sentenza di Massimiliano De Falco.
Fonte: Consiglio Provinciale di Milano, Ordine dei Consulenti del Lavoro