Un murale dell’artista tedesco Case sul tema della salute mentale, nel centro di Manchester, in Inghilterra (foto di Christopher Furlong/Getty Images)
Pensare che 50 milioni di euro tolgano risorse a una riforma sanitaria che richiede miliardi (e anni per essere attuata) è fuori dalla realtà. La prevenzione non è un costo ma un investimento per arginare conseguenze sociali ed economiche ben peggiori. Occorre ragionare in termini di strategie di sanità pubblica
Aseguito della bocciatura dell’emendamento sul cosiddetto bonus psicologo nell’ultima legge di Bilancio, si è assistito a un dibattito surreale tra chi è favorevole a questa misura e chi invece, anche giustamente, invoca un potenziamento della rete sanitaria pubblica. Dibattito surreale, e in un certo senso distante dalla realtà vissuta dei cittadini, perché le due cose non sono affatto in contrapposizione. Pensare che il bonus psicologo vada a togliere risorse al servizio pubblico è sbagliato. Per diversi motivi.
Innanzitutto, bisogna chiarire un aspetto. C’è un’emergenza salute mentale? Sì. Leggendo il sito dell’Istituto superiore di Sanità “le prime stime ufficiali intravedono un aumento dell’incidenza dei sintomi depressivi, soprattutto tra i più giovani, le donne e le persone in difficoltà economica”. L’ospedale Bambin Gesù, il più grande policlinico e centro di ricerca pediatrico in Europa, denuncia come i ricoveri tra i più giovani per tentato suicidio siano raddoppiati durante il periodo pandemico, così come sono aumentati in modo esponenziale disturbi alimentari e disturbi d’ansia, mentre la maggioranza della popolazione generale si trova ad affrontare la cosiddetta “fatica pandemica”, rilevata in questi anni dall’Oms, ossia uno stato mentale caratterizzato da stanchezza, paura, difficoltà a pianificare, demotivazione e disturbi del sonno.
Se questa emergenza è reale, pensare di rispondere con la riforma e il potenziamento del servizio pubblico, equivale a dire a chi soffre oggi e potrebbe stare peggio di aspettare qualche anno. Si confonde la necessaria pianificazione e costruzione, sul medio-lungo termine, di un servizio pubblico che era in crisi già prima della pandemia con la possibilità di aiutare subito chi non ce la fa più e non riesce a ricevere aiuto.
Leggendo il Rapporto Salute mentale del ministero della Salute, scopriamo infatti che il personale dei Dipartimenti di Salute mentale, è formato da psicologi solo per il 7 per cento, e solo il 6.4 per cento delle prestazioni erogate sono di tipo prettamente psicologico e psicoterapico. E secondo le comunicazioni dell’Iss, scopriamo, inoltre, che “I Dipartimenti di Salute mentale, nel 2019, prima della pandemia, erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55 per cento del fabbisogno assistenziale stimato“.
Inoltre c’è un problema di target: gli attuali servizi di Salute mentale non sono in grado di intercettare il disagio e/o fare prevenzione con la popolazione attualmente più colpita dalla pandemia, (giovani, donne madri in difficoltà economiche) perché già travolti dall’emergenza legata all’intervento sul disagio mentale grave, che assorbe la quasi totalità delle – già pochissime – risorse.
Come denuncia Gisella Trincas, presidente di Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la Salute mentale, i servizi “hanno poco personale e grandi difficoltà organizzative. Di conseguenza abbiamo tanti pazienti con disturbi come psicosi, schizofrenia o bipolarismo, a volte anche gravi, che restano tutto il giorno chiusi in casa e che rappresentano un carico enorme per i familiari, spesso anziani”. E questa emergenza “negata” precede la pandemia.
Rispondere quindi alla nuova emergenza attuale, legata alla pandemia, con assunzioni di massa e riorganizzazioni che richiedono anni è semplicemente decidere di non intervenire su chi soffre oggi. Bisognerebbe ragionare in modo diverso. L’Ocse stima che l’emergenza legata al disagio mentale ha comportato costi economici pari al 4,2 per cento del pil.
Pensare che 50 milioni di euro tolgano risorse a una riforma sanitaria che richiede miliardi è fuori dalla realtà. O peggio, è una guerra tra poveri, che denota la poca considerazione di cui gode da sempre questo settore.
Servirebbe cambiare mentalità e dare maggiore centralità alla salute mentale, al di là di uno sterile dibattito tra pubblico e privato: intervenire sulla prevenzione non dovrebbe essere considerato un costo ma un investimento concreto per arginare le conseguenze sociali ed economiche che tali disturbi portano con sé, mentre il pubblico è saturo e travolto già da altri grandi problemi.
Servirebbe superare lo sterile dualismo tra pubblico e privato, ragionando in termini di strategie di sanità pubblica: in tal senso “utilizzare”, valorizzare, il privato diviene necessario solo per una questione di “tempismo”, ossia per aumentare l’accessibilità a questo tipo di interventi in tempi veloci, avviando possibili collaborazioni effettive a livello territoriale tra un settore pubblico meno chiuso in se stesso e lontano dalla realtà e un privato no profit fatto di operatori, familiari, volontari, che rimane spesso inascoltato.
Tra pubblico e privato, il no profit rimane inascoltato. Per fare reale prevenzione, infatti, sarebbe questo un punto di incontro necessario e pragmatico in un momento emergenziale come questo. Il bonus psicologo, infatti, diviene fondamentale a chi è in difficoltà oggi e ai professionisti e alle realtà (e ce ne sono tante, come, ad esempio, il progetto “SportelloTiAscolto”) che per motivi etici lavorano per rendere il supporto psicologico economicamente accessibile e realmente capace di intercettare dei ragazzi che in un Centro di Neuropsichiatria e/o in un Centro di Salute mentale ci arriveranno solo fra qualche anno, quando la propria situazione ormai sarà un emergenza.
I privati profit, infatti, non sono interessati a guadagnare con il bonus psicologico: sono già travolti dalle innumerevoli richieste disattese dal settore pubblico. E già da decenni guadagnano sulle mancanze e i disservizi di un servizio pubblico che delega a loro l’assistenza, impoverendosi progressivamente. In attesa di un servizio pubblico forte, che richiede ben altre risorse e dibattiti per innovarsi, scontrarsi su 50 milioni di euro, mentre non si batte ciglio su altri bonus, o non si è in grado di utilizzare velocemente gli immensi fondi del Pnrr, dà la misura di quanto sia ridotta male la nostra salute mentale.
di Edgardo Reali, psicologo clinico e psicoterapeuta
Fonte: IL FOGLIO quotidiano