L’allarme di cinque ex direttori dei Dipartimenti di Salute mentale della regione «Applicare così lo spoils system significa smantellare decenni di esperienza»
Ci sono professionisti esterni in testa alla graduatoria del concorso per la direzione del Centro di salute mentale 1 di Trieste. Dopo la prova orale, entrambi hanno scavalcato i colleghi del territorio, che erano partiti da un punteggio più alto quanto a curriculum. Una graduatoria «singolare», osservano Roberto Mezzina, Franco Perazza, Renzo Bonn, Mauro Asquini, Angelo Cassin, già direttori dei Dipartimenti di salute mentale di Trieste, Gorizia, Udine, Alto Friuli e Pordenone, preoccupati anche per un’analoga vicenda a Pordenone. «Tutti coloro che si sono formati alla scuola basagliana – denunciano in una lettera – sono stati penalizzati o esclusi, nonostante anni di impegno nei servizi e curriculum decisamente migliori, a tutto vantaggio di canditati, spesso sconosciuti, che vengono da fuori regione. Non si pensava che anche in Friuli Venezia Giulia lo spoils system arrivasse a toccare posizioni dirigenziali, nelle quali le competenze e l’orientamento valoriale sono fonda- mentali e decisivi».
La premessa è che «dopo i numerosi pensionamenti, le direzioni delle strutture, perfino dei Dipartimenti, erano state affidate a dirigenti facenti funzione o con funzioni apicali affidate spesso a scavalco di più servizi». Nello stesso tempo, proseguono gli ex direttori, «sono stati sospesi i concorsi per le direzioni dei Centri di salute mentale che evidentemente si vogliono ridurre. Nell’area Udinese, di sei posti di primario non ne è stato coperto nemmeno uno, mentre nell’area Giuliano Isontina i vuoti in posizione apicale sono quattro».
Inattesi, sono però ripartiti i concorsi. È del 27 aprile la nomina a Pordenone del trevigiano Massimo Semenzin, dal 2010 alla guida del Servizio psichiatrico di Feltre e fino a un mese fa direttore facente funzioni del Dipartimento di salute mentale dell’Ulss Dolomiti. Mentre a Trieste si attende la nomina di uno dei primi tre in graduatoria a seguito della prova orale organizzata nei giorni scorsi a Monfalcone. Al primo posto un candidato sardo, al secondo uno psichiatra che ha lavorato a Brescia e in Trentino, al terzo un professionista del territorio. Preventivamente, «ma senza voler forzare la mano», precisa Mezzina, gli ex direttori regionali trasmettono il timore che si intenda «affidare i nostri servizi a psichiatri del tutto alieni a queste, ormai consolidate, esperienze d’avanguardia, e che vengono invece da situazioni arretrate, reparti spesso chiusi e che usano la contenzione, che propongono insomma vetusti modelli ambulatoriali o di ricovero invece di programmi di cura e di reinserimento che rispondano ai bisogni delle persone con disturbo mentale. Queste scelte autolesionistiche – si legge ancora nella lettera – sono dannose non solo per il sistema attuale, ma per i cittadini, e fanno da apripista allo smantellamento dei migliori servizi creati dalla riforma psichiatrica dopo i manicomi, determinando quell’impoverimento e quell’inefficienza del servizio pubblico che in tutta Italia aprono spazi al privato».
Un paradosso in tempo di pandemia: «Col Covid la situazione già drammatica di carenza di risorse e di servizi per la salute mentale è andata ulteriormente peggiorando in tutta Italia. Centri di salute mentale inaccessibili, contrazione e perfino sospensione dell’attività domiciliare, riduzione di attività del volontariato e delle cooperative sociali». Ma un paradosso anche alla luce dal lancio mondiale, il prossimo 10 giugno da parte dell’Oms, di un documento di 200 pagine in cui il modello Trieste, «diventato regionale», al pari della francese Lille e della brasiliana Campinas, comparirà co me «sistema complessivo di eccellenza» nell’ambito dei servizi di salute mentale di comunità. Tra l’altro, ricorda Mezzina, «Lille e Campinas sono due esperienze che si rifanno a Trieste. La legge brasiliana del 2001 ha creato i Caps, Centri di attenzione psicosociale, anche con posti letto sul modello triestino. E a Lille lavora da un decennio Massimo Marsili, psichiatra dell’equipe cittadina».
E dunque, concludono i basagliani, «si deve coinvolgere la cittadinanza e ripartire da una forte alleanza di utenti, famiglie, professionisti, servizi, rimettendo insieme le esperienze di ieri e di oggi prima che i guasti siano irreparabili e si disperda il grandissimo patrimonio accumulato in 50 anni di esperienze. La libertà è terapeutica, si è detto e sostenuto: è un diritto, il più grande, per gli esseri umani, che Basaglia ha restituito a tutti gli italiani, chiudendo i manicomi e cambiando la legge. Non lasciamo per questo soli i servizi, ed evitiamo che la salute mentale della regione, col Covid. scompaia definitivamente dai radar, con grave danno per tutti».
Fonte: Il Piccolo