di Enrico Di Croce
Gentile Direttore,
lunedì 8 aprile 456 psichiatri di tutta Italia hanno inviato una denuncia-appello al Presidente della Repubblica, a cui hanno aderito alcune decine di altri professionisti della salute mentale. E’ un’iniziativa spontanea, nata nelle chat nazionali costituitesi un anno fa, sull’onda emotiva dell’assassinio della psichiatra pisana Barbara Capovani.
A un anno di distanza nulla è cambiato nella quotidianità di operatori e pazienti dei servizi psichiatrici territoriali e ospedalieri. Così centinaia di medici e professionisti del settore rendono pubblico il loro disagio. Le recenti celebrazioni per il centenario della nascita di Franco Basaglia rendono ancora più evidente la contraddizione. Non solo la riforma epocale che mezzo secolo fa ha abolito i manicomi non è compiuta, ma negli ultimi anni si sta assistendo a una drammatica regressione.
Al progressivo depauperamento di risorse si aggiunge il ritorno esplicito a un mandato di controllo della devianza che la psichiatria post-manicomiale si era illusa di essersi lasciata alle spalle. All’aumento dei rischi di aggressione per gli operatori si aggiunge la fatica e la frustrazione di non riuscire a garantire adeguati livelli di assistenza a pazienti e famiglie gravemente sofferenti.
Il vissuto degli operatori in prima linea è riassunto da una breve scritto di un giovane psichiatra, Stefano Naim, sottoscritto da cinquecento colleghi. Fra i firmatari ci sono molti operatori di base ma anche dirigenti di servizio, primari e direttori di dipartimento. E anche diversi professionisti che hanno “gettato la spugna”, dimettendosi dalle aziende pubbliche. L’obiettivo della mobilitazione è dare più forza alle interlocuzioni in atto a livello istituzionale, che al momento non hanno avuto sbocco in provvedimenti concreti, soprattutto per quanto concerne la garanzia della qualità dell’assistenza.
Il Presidente della Repubblica è il destinatario dell’appello in quanto Garante della Costituzione e rappresentante di tutti i cittadini. Tutti i cittadini, infatti, devono sapere che, nella crisi generale del Servizio sanitario nazionale, la situazione dei servizi di salute mentale è fra le più gravi ed è vicina al punto di non ritorno. Si rischia che soprattutto gli operatori più giovani, competenti e motivati abbandonino il servizio pubblico, indebolendo in modo fatale la battaglia di civiltà iniziata 50 anni fa per la salute, la dignità e i diritti civili dei malati di mente.
Fonte: quotidiano sanità